Cosa ci fa Russ Meyer dietro la valle delle Ultra Volpine?
28 settembre 2004 • By Diego CajelliLe doti espressive di un magnifico paio di tette, zinne, seni, boobs, dirigibili, pere, meloni, bignè, sventole, mongolfiere, siluri, caciotte, globi, poppe, rilievi, borracce, bombe, gommoni, sporgenze, noci di cocco, quarta, quinta, sesta, settima e ottava abbondante, bombole, budini, pocce, dossi, prominenze, razzi, angurie, cupole, petardi, baloon, bocce, zuccotti, palloni, sberle, bitorzoli, poponi, mammelle, canotti, semi sfere, tripla D, valvole, colline, juggs, cuscini, asteroidi, scamorze, coperchi, prue, dune, krapfen, aerostati, calotte, air bag, coppe di champagne, tits, cocomeri, protuberanze, davanzali, puppe, minne, sise, (prive di silicone sia chiaro) sono l’elemento costituente del cinema di Russell Albinion Meyer, il moltopiù che regista, nato a Oakland nel 1922.
Il suo erotismo ghiandolare, conico, pneumatico, girato con “Voluptuous, gorgeous, big breasted , natural busty vixens” è ad anni luce di distanza dall’erotismo cinematografico nostrano, lontanissimo dal pelo triste della Sandrelli e concettualmente all’opposto da quel buco di serratura attraverso il quale, Pierino spia Edwige togliersi il reggicalze senza poter intervenire.
I personaggi di Meyer interagiscono felicemente e scopano tra di loro.
Evviva!
Anzi, dirò di più, è la volpina che ti scopa, e non puoi farci nulla.
La donna di Meyer non è una maestrina rincoglionita, non ha bisogno di lingerie per modificare la normale circolazione sanguigna del maschietto, non cerca una spalmata di burro o un maschio padrone, non le servono costumi o le rimembranze di perduti bordelli, non si pente immediatamente dopo, e se ha un desiderio lo mette in pratica, non lo elabora mentalmente in modo ossessivo facendone un perno narrativo.
La Meyerdonna decide, prende, usa, abusa, se è il caso uccide, mostra e dimostra, non riesce a vedersi le scarpe stando in piedi e in molti casi scopa ridendo, facoltà perduta nel cinema erotico europeo, che quando non è legato alla commedia della pernacchietta, si ritrova incollato a morbose situazioni autodistruttive, patologiche, dettate comunque dal pensiero cattolico/punitivo, agendo attraverso l’intreccio psicotico, i simboli, i ricordi dei bei tempi che furono, il vorrei ma non posso, il l’ ho fatto e me ne pento, visualizzando sulla pellicola un concentrato di paranoie mascherato da film soft core.
La violenza, o comunque gli elementi aggressivi nei film di Meyer arrivano sempre in modo frontale, come nei film marziali di Hong Kong, non sono un sottotesto fastidioso, ma un’autentica esplosione che fa un sacco di casino ma che alla fine, non arreca un danno, semmai costruisce un mito, il mito della volpina pericolosa che ti spacca in due a colpi di karate.
Sangue, motoseghe, bande di motociclisti vestiti di cuoio, attraversano con leggerezza e ironia il mondo delle tette, specialmente nella parte a colori della sua cinematografia.
Ipotizzando un viaggio sulle morbide colline dello zio Russ, (dove non descriverò i plot dei film) una rapida gita bosomaniaca non può che partire nel 1964 con il film Lorna, protagonista Lorna Maitland, il suo segreto è l’inversione della legge di gravità e il più perfetto puffy nipple della storia del cinema.
Nel 1966 esce Faster Pussycat Kill Kill Kill, con Tura Satana, Haiji e Lori Williams, le ultime due sono notevoli, ma non reggono il confronto con la carica di Tura Satana, una Tequila bum bum del sesso con una carica erotico/aggressiva che annichilisce, tanto potente che in tutto il film non si vede una tetta esposta altrimenti lo spettatore collasserebbe.
Dello stesso anno è Mondo Topless, un ora di ragazze che ballano al ritmo di funky, jazz e rock’n’roll, un video da party, con una regia che influenzerà tutti i clipmaker di Mtv, un ora di balzelli, rotondità e semisfere bollenti.
Vixen esce nel ‘68, la protagonista assoluta è Erica Gavin, non a caso Vixen è sul Guinnes dei primati come film maggiormente replicato in un drive in: 54 settimane consecutive, è successo ad Aurora, in Illinnois e un motivo ci sarà.
Di Motorpsycho, Mudhoney, Harry e Raquel, Good Morning and Goodbye, Immoral Mr Teas, Law Cabin, Finders Keepers, Cherry, Ultravixens, Seven Minutes, Beyond The Valley Of The Dolls, ne parleremo un altra volta.
Quello che conta è che nel 1976 esce UP!, e che come narratrice c’è Francesca “Kitten” Natividad, una sexmachine assoluta, accompagnata da Raven De La Croix.
Raven (s)veste i panni di Margo Winchester, e si presenta allo spettatore semplicemente correndo, zompetta felice lungo la strada che costeggia il deserto in un incredibile piano sequenza, di fronte al quale Tarkovsky impallidì, pensando: che scemo che sono, io l’ho fatto di venti minuti, dall’alto su due che dormono mentre passa il treno, che palle, che noia, che barba! Invece guarda lui come usa il pianosequenza!
Kitten Natividad, anche se per i miei gusti ha un faccino troppo rincagnato, diventa protagonista principale di Beneath The Valley Of Ultravixens (1979) film totale, forse il manifesto Meyeriano del concetto di sesso, tette e solarità.
Kitten ha il ruolo di Lola Langusta “più piccante di un piatto messicano” e nel film compaiono le più espressive attrici che si possono immaginare, il tutto condito con una demenzialità di fondo che dimostra quanto possa essere divertente l’erotismo.
E’ anche il suo ultimo lungometraggio ufficiale, dopo il quale, Meyer si dedica esclusivamente alla produzione, all’editoria e alla gestione della sua casa cinematografica, la RM Films.
L’ultimo lavoro come regista è del 2001, un film su Pandora Peaks, pneumatica regina del mondo dei bazooombas.
E’ il caso di prendere qualcuno dei film sopra elencati?
Si, ma le edizioni italiane dei film di Meyer fanno cagare.
Punto.
Non ho altri aggettivi per descrivere la qualità della collana dedicata a lui che ha editato L’Espresso un paio di anni fa, il termine si addice anche alla precedente collezione della Domovideo.
Non ho idea di come siamo messi con i DVD, ma a questo punto, consiglio di prenderli in lingua originale, quello che si dicono si capisce benissimo e quello che si vede è internazionale.
Meyer ha diretto, prodotto, girato, scritto, curato la fotografia e in alcuni casi interpretato un totale di 26 pellicole, è apparso in una decina di documentari e special televisivi sull’argomento in questione.
Ha scritto un’autobiografia in tre volumi dal titolo: A Clean Breast ed è riuscito a farsi apprezzare moltissimo anche come fotografo.
Da qualche parte ho letto che il regista, da anni, con cura maniacale, stava lavorando al suo capolavoro, un documentario approfondito e dalla durata spropositata, il cui titolo doveva essere: Le Tette Secondo Russ Meyer.
Credo che verrà proiettato in anteprima nel posto in cui si trova ora lo zio Russell, un morbido paradiso rosa dietro la valle delle Ultra Volpine.
(Questo articolo è apparso la prima volta nel 1999 su Zelda. Ripreso, ampliato e riscritto per l’occasione)