Sta succedendo qualcosa nel mondo del fumetto, tra gli inchiostri, si sta consumando la più soave e violenta delle rivoluzioni possibili, una coltissima linea narrativa che con grazia, sta scardinando i pilastri basilari della letteratura di genere.
Una rivoluzione dove si negano con forza le azioni e le reazioni nella costruzione del plot, dove si elimina concettualmente il rapporto di verosimiglianza del disegno.
Una rivoluzione dove sotto le luci della ribalta non c’è la storia, non c’è il personaggio, non ci sono gli eventi, i veri protagonisti del fumetto antinarrativo sono esclusivamente gli autori.
Il primo passo è la negazione della fiction.
La trama deve essere spacciata per vera, deve essere autobiografica, storica, culturalmente radicata in un contesto riconoscibile, è lo stesso processo che governa il Reality, che muove gli amici di Maria De Filippi, ma guai a dirlo, perché dire antinarrativo equivale a dire colto.
Negare la fiction, guardare al genere con aria snob, preferendo il finto/vero di una biografia, che dal momento stesso in cui viene raccontata, diventa essa stessa un genere, “fasullo” come può essere “fasullo” lo Steam Punk o il Noir.
Il secondo passo è l’esibizione esplicita della propria azione autoriale, sull’assoluta manifestazione del testo, testo inteso come oggetto e come terreno di comunicazione.
Il disegno sparisce, diventa il corollario della parte testuale, la fuga dall’oggettivo e dei canoni ideali/realistici della composizione, è sostenuta dall’elemento metatestuale dell’interpretazione.
Un disegno antinarrativo è un disegno da decifrare, è un disegno da leggere attraverso gli strumenti di analisi critica dell’arte moderna, un terreno in alcuni casi minato, dove a gestire la percezione è sempre e soltanto l’atto intellettuale, e non l’azione narrativa espressa in modo puro.
In questo senso, appare chiaro come un disegno corretto sul piano formale, parta in abissale svantaggio rispetto ad un tipo di segno sostenuto dai metatesti.
Una prospettiva sbagliata, o una faccia storta in ambiente Bonelli (azione), sono solo disegni da correggere, la stessa prospettiva sbagliata o il medesimo viso anatomicamente scorretto, in un territorio antinarrativo (atto), è il frutto di una precisa scelta stilistica.
Lo stile, il modo, l’analisi, prendono il posto del patto di complicità, analizzandoli sullo stesso piano, è come se si mettesse in moto il medesimo meccanismo percettivo dei film di Arnold Swarzenegger.
Così come, grazie al patto di complicità, si accetta Arnold che si butta giù da un aereo e rimane in vita, nel panorama antinarrativo si accettano testo e disegno a prescindere, è una sorta di patto di intellettualità, grazie al quale, l’effettiva capacità di disegno, o la struttura dell’impianto narrativo possono non essere presi in considerazione.
Siamo nel regno della soggettività assoluta, e in questo regno, l’unica regola che esiste è quella interiore, personale.
In qualche modo, stuzzicare la cultura del lettore, farlo sentire appartenente ad un elite, sono elementi che hanno preso il posto del vecchio colpo di scena.
Una volta si parlava di illusione del vero nella letteratura di genere, adesso è il caso di parlare di Illusione del pensiero, ovvero, la presentazione di un racconto fine ed educato, sostenuto dallo stile, nato per far pensare, per farti sentire figo.
Quello che rimane, è un oggetto/soggetto, ovverosia un muro di fronte al quale non si hanno molte scelte.
Deve piacerti per forza, costi quello che costi, l’accusa, in caso contrario, sarebbe la peggiore:
Non ti piace perché sei ignorante.