Ho ritrovato nei meandri del mio piccì un vecchio racconto, è piuttosto lungo, diciamo che è praticamente un romanzo breve, lo pubblico qui a puntate.
(Capita a fagiolo, visto che sono piuttosto preso e non ho tanto tempo per aggiornare il blogghe!)
Resisto alla voglia di correggere e riscrivere, e lo riporto così com’è, si capisce subito che da ggiovine ero molto più scemo di adesso, il che è tutto dire…
LE AVVENTURE DI GIANGIBEN FUTANAZY
Un mal di testa formato famiglia balla un ritmo Jungle tra le mie tempie, cerco di attenuarlo con la pomatina della tigre che mi ha regalato Chen, l’unguento puzza e nella mia scissura interemisferica il Rave Party continua, fregandosene dei rimedi Shaolin e dei composti chimici Bayer presi un paio d’ore fa.
Non solo ma Ella mi guarda, simulando uno stato catatonico riflessivo, mentre la forza di gravità agisce impietosamente sulle sue guance molli, rendendola molto simile ad un Bulldog di un metro e settantacinque, parlante e con un vestito a fiori, una visione infernale che cerco di sconfiggere il più presto possibile, faccio presa su quel poco di razionalità che mi rimane e cerco di ricordarmi che sono vicino a Patrizia, che non devo assolutamente ridere e che non devo usare i miei poteri paranormali a mio vantaggio in queste situazioni.
- Non è colpa tua.
Dice Patrizia scannerizzando i granelli di polvere che roteano nell’aria vicino al cruscotto, poi secondo me si mette a contarli, rimane zitta un po’ e allora anch’io.
Undicimilioniqattrocentoventimilasettecentoventidue.
Questa è la cifra approssimativa, anche lei deve concordare, si sente soddisfatta del conteggio, e riprende il discorso interrotto.
- non è semplice per me… cerca di capirmi…forse abbiamo corso un po’ troppo…
Involontariamente capto che sta pensando a Daytona, dove la settimana scorsa siamo arrivati quarti, a bordo di una Firebird TransAm gialla, che tra di noi chiamavamo amichevolmente “Woodstock”.
- Non so cosa voglio.
Il ritmo Jungle diventa un Grind Core dal vivo, con tanto di ragazzetti in pantaloncini che si buttano dal palco, si rotolano, ruttano birra e scorreggiano, vecchi punk grassi che si picchiano, piedi che sbattono, teste che ciondolano, pogo tra squadre di Rugby neozelandesi, e tutto questo dentro la mia testa.
- Ho bisogno di un periodo di riflessione.
I Manowar battono nuovamente il guinnes di amplificazione, settemilioni di watt
tra un orecchio e l’altro, una venuzza sulla mia fronte comincia a pulsare, come il Nilo in piena durante la settima dinastia.
Il mio Corpo Astrale si stacca, con una zoommata all’indietro prima vedo la mia testa, poi noi due in macchina dall’alto, poi la macchina nel parcheggio del Discount del Pneumatico (il luogo ideale per lasciarsi) poi l’intera zona dall’alto, la regione, la Pianura Padana, lo stivale, l’Europa tutta, e infine il caro, dolce pianeta terra con tutto il suo azzurro e il suo marròn.
Gravito nella stratosfera in compagnia di un signore coi baffi, tale Gregory Batovich, proveniente dal Kazakistan.
Chiacchieriamo del più e del meno, mentre non ho la minima idea di cosa stia succedendo al mio Corpo Fisico, lasciato all’interno di una macchina in un parcheggio della Brianza.
Secondo Batovich il più grande chitarrista di tutti i tempi è Jimi Hendrix, mi avverte che è rimasta una traccia della sua Aura nei cieli di Pittsbourg, e che se vogliamo possiamo andare lì a percepire le note che non ha mai suonato.
(continua)