Per ben due volte il destino mi ha sorriso in modo beffardo, e per ben due volte non ho avuto abbastanza palle per approfittarne.
Oggi, a distanza di tempo, mi pento un po’ per quello che non ho avuto il coraggio di fare.
In futuro, se mi si dovesse riproporre una situazione simile, prometto di comportarmi nel modo giusto e di accogliere con gioia e ferocia le possibilità che il fato mi offre.
Mi spiego meglio, andando con ordine.
Quasi un anno fa, più o meno, in una serata milanese come tante, mi ritrovo in un locale come tanti, a bere qualcosa con degli amici discutendo dei futuri mobili della mia futura casa.
Esco a fumare.
Fuori c’è lui.
Raffaello Tonon.
E’ lì solo soletto, che parla al telefonino.
Nel cortile del locale non c’è nessuno.
E io, non lo faccio.
Non sollevo una delle sedie schiantandola sulla sua schiena.
Non sento le mie dita affondare nei suoi riccetti e non vedo le mie braccia chiuderlo in clinch, piegandogli la testa contro il mio ginocchio.
Non sento nelle mie orecchie Lust Of Life di Iggy Pop, e non vedo me stesso prenderlo a calci fino a farlo rantolare in un angolo.
Purtroppo, non l’ho fatto.
Pochi giorni fa invece, la sera prima del suo arresto, passo in Corso Buenos Aires, in macchina, diretto, con amici e Ladyzilla a bordo, a una cena di compleanno.
Folla di paparazzi alla mia destra, fotografano uno che scende da un macchinone in doppia fila, qualcuno di noi dice: E chi è… Corona?
Cazzo si.
Era lui.
Circondato e celebrato dai flash come la rockstar del paese dei pupazzi.
Non ho dato un colpo di sterzo, e non ho abbattuto la proletaria lamiera della mia Skoda contro le fragili ossicine del suddetto, non sono passato, velocemente, con le mie ruote sopra il logo della sua maglietta.
Avrei potuto, ma non l’ho fatto.
Milano è una grande città, e lo so che prima o poi mi darà altre possibilità.
Perché non c’è due senza tre, e non sono così stupido da ripetere gli stessi errori.