Mi è toccato difendere un razzista.
9 luglio 2010 • By Diego CajelliAl titolo qui sopra aggiungiamoci un bel purtroppo.
L’altro giorno ero a bordo di un autobus affollato e bollente. Lo avevo preso al capolinea per cui ero riuscito a sedermi. Difendevo il mio posto a sedere in quel modo stronzo che abbiamo noi milanotti: fissando fuori dal finestrino come se ci fosse la cosa più interessante di questo universo. In genere sui mezzi pubblici non mi siedo mai, perché tra i miei mille difetti c’e’ quello di sentirmi in colpa se non cedo il posto. Allora faccio prima a non sedermi nemmeno. Ma ero molto stanco, così stanco che anche la musica mi dava noia. Ero seduto lì, senza metal nelle recchie, senza alcuna protezione dal mondo esterno. Succede qualcosa. Una tipa con il passeggino urta con le ruote un tizio sui 45, dall’aria sfigata ma molesta.
Lo sfigato molesto, altezzoso, con dei pantaloni ascellari beige, una polo a righe e dei sandali con calzino bianco. Occhiali, borsello. Un professorino di matematica che sudava frustrazione e nervosismo. Si incazza al volo. Parte con una filippica carpiata e rotante, che parte dalla rotella del passeggino e arriva ad ardite coniugazioni al voi, riferendosi all’etnia sudamericana della tipa con il passeggino.
Da voi non capite un cazzo, al bisogna spiegarvi le cose più elementari.
La tipa, sanguigna del barrios non sta mica zitta. Replica, risponde dura, chiedendo il perché quello si rivolge all’intero suo popolo e non soltanto a lei. Sembrava la sorella di Ugly Betty che litiga con Gina Gambarro. Dito indice alzato e collo che si muove un po’ a scatti.
L’imbecille, in un primo momento si sorprende della reazione. Forse è abituato ad avere a che fare con un altro genere di donna, quella che gli tiri il bastone e te lo riporta.
Nella sudata semi indifferenza generale dell’autobus sardinato, lui alza la posta. Quelli come voi, ma che ne sapete, tornate al vostro paese. La signora si scusa per la rotella, ma non accetta la deriva razziale dell’incazzatura del molesto.
Mentre si insultano, si fanno largo tra i passeggeri appesi ad affumicare quelli che secondo me erano il marito e il fratello della tipa con il passeggino.
Due uomini cubo. Cresciuti e pasciuti con tonnellate di asado con il chimichurri. Avambracci da muratori, sopracciglio unico, già aggrottati nell’espressione internazionale nota come: te rompo el culo pendejo.
Lo sfigato molesto, nella sua crosta di imbecillità aggiunge i nuovi arrivati alla sua discussione, e non si rende conto di tre cose.
1: Quelli lo vogliono menare. Punto. Magari non subito. Aspetteranno un insulto diretto a loro. I linguaggi del corpo parlano chiaro. Non sono lì per allontanare la parente. Sono lì per aprire in due il professorino di mate.
2: Se parte una rissa su un autobus pieno, ci vanno di mezzo tutti. Me compreso, non soltanto lui che è partito da un piede urtato ed è arrivato a scrivere il numero di luglio di: In Difesa della Razza.
3: Noto uno strano passaggio. Uno dei due uomini cubo prende qualcosa dalla tasca sinistra dei pantaloni e la sposta nella tasca destra. La mia educazione stradale, formatasi in anni e anni passati a cazzeggiare per strada invece di fare i compiti, fa suonare un allarme mentale arancione quando noto che il tipo non leva la mano dalla tasca. La tiene lì.
Alzo gli occhi al cielo, notando che lo sfighigno comiziante non se ne è nemmeno accorto. Io penso a due cose: Coltello a scatto o cacciavite.
Ecco. Se uno spronato dal caldo, dagli insulti, da un temperamento tamarro si mette a fare a coltellate su un autobus, è la fine.
Diegozilla, il supereroe della periferia decide di intervenire.
Mi alzo, mi rivolgo alla signora con un sorriso dicendole: Si vuole sedere signora?
Approfitto dei corpi che devono turnicare e spostarsi per consentire alla tipa di sedersi e di spostare il passeggino, chiedo ottocento volte scusi, mi scusi, e mi appoggio con la mano all’avambraccio dell’uomo cubo che tiene la mano in tasca.
Lui la tira fuori. Vuota. E aiuta la sorella (o la moglie) a sistemare il passeggino. Il tutto mentre sorridono a me e lanciano occhiate di fuoco al professore di mate.
Arriva la fermata. Il tipo, ancora borbottando scende. I tre rimangono a bordo. Guardandolo male.
Scendo anche io.
Osservo per un attimo lo sfigato molesto che si allontana, e poi sparisco nella calura serale milanese.
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