Mi vanto, a sproposito, del mio passato tamarrico. Neanche ventiquattro ore dopo, rischio come minimo di essere rapinato, e come massimo un paio di coltellate.
Tranquilli. Sto benissimo e sono tutto intero.
Sto benissimo e sono tutto intero perché ho avuto un’educazione da maranza di periferia. Ma andiamo con ordine.
Sabato pomeriggio. Appuntamento con Ladyzilla alla fermata Conciliazione del metrò. Fermata abbastanza in centro, nella Milano inside alla circonvallazione. Per cui, per come la vede la Moratti, l’unica Milano che conta.
Eppure, il sabato pomeriggio alle quattro, la fermata Conciliazione è un avamposto abbandonato nel gelido deserto milanotto. Eppure il cenacolo è lì a due passi, il super posh Corso Vercelli è a un tiro di schioppo, e per non farci mancare niente c’è anche una gelaterissima alla modissima. Sopra, quindi, c’è vita. Sotto no.
Sotto l’unico bar è chiuso. L’edicola è accerchiata dal silenzio, e la tipa al suo interno si meraviglia quando altri esseri umani le si parano davanti. Il capitano dell’ATM, nella sua trincea sorveglia i tornelli pensando alle sue scarpe.
Qualcuno entra, qualcuno esce, di corsa. Perché a Milano si fa così.
Io sono lì. Che aspetto Ladyzilla.
Arriva una metro, e osservo quelli che escono. Lei non c’è, però il mio senso di ragno pizzica.
Li noto subito, sono in tre. Camminate spavalde, linguaggio del corpo inequivocabile, sguardi malandrini. Pericolo, dice la voce della mia esperienza di strada.
Evito, come ho imparato in Piazza Prealpi, gli sguardi diretti. Li osservo e li valuto con la coda dell’occhio. I tre Bravi escono dai tornelli. Si guardano attorno. Non c’è nessuno tranne che il sottoscritto. Ovvio, vengono da me.
Il Griso mi chiede da accendere. Tanabuso e Grignapoco sono alle sue spalle, guardano in direzioni diverse, mentre il Griso mi parla.
Già visto, già fatto… Se i sottoposti danno l’ok, quello che parla poi ti si fa sotto. Ma arriva qualcuno per prendere la metro.
Passo l’accendino, mentre analizzo e valuto una serie di possibilità. Passerò per razzista again, ma questi tre sono zingari. Non dovevo passargli l’accendino, dovevo scattare con un diretto in faccia nell’istante in cui mi rivolgeva parola. Adesso, quello che sta usando per accendersi una sigaretta non è più un accendino. E’ un segnale della mia debolezza.
Mi sposto verso l’edicola. Il Griso fa finta di usare la macchinetta dei biglietti che c’è lì vicino. Tanabuso mi si piazza alle spalle, e guarda assieme a me i giornalini per i bambini.
Grignapoco è poco più in la, in posizione centrale.
Faccio un passo, lo fa anche Tanabuso.
La fermata di Conciliazione ha un architettura particolare. Alle uscite ci arrivi percorrendo dei lunghi corridoi. Nessuno ti può vedere in quei corridoi. Lo registro mentalmente, mentre a turno, i Bravi mi osservano. Io e Tanabuso abbiamo gli stessi gusti per quando riguarda le riviste. E’ al mio fianco, spalla a spalla.
Grignapoco si muove, secondo me mi si piazzerà dall’altro lato. Giro su me stesso.
Una famiglia indiana in vacanza esce dai tornelli. Il padre, in inglese, si rivolge all’unico essere umano presente che non sembri uscito di galera tre giorni fa.
Io.
Mi chiede dov’è il cenacolo vinciano. Ci sono lui, un figlio sui sedici, una figlia sui quindici, la moglie e forse la sorella della moglie.
Colgo l’occasione.
- Vi accompagno, che spiegarvelo da qui è complicato.
Percorriamo assieme i corridoi deserti fino alle scale. Saliamo, mi guardo attorno. Gli spiego dove devono andare, quelli ringraziano.
Sopra c’è vita.
Ma il mio appuntamento è sotto.
Ci penso. Suppongo che i Bravi se ne siano andati. Del resto, non è che a Milano c’è soltanto il sottoscritto a cui rompere il cazzo, no?
Scendo. Percorro il corridoio, in un senso. Loro arrivano nell’altro. Si strattonano, si dicono qualcosa. Dopodichè si girano e mi seguono di nuovo.
Analizzo. Sono fuori forma. Ho fatto svariate arti marziali, ma per tenere a bada tre persone ci vuole fiato. Non ne ho. Fumo troppo. Cerco un arma con gli occhi. Una qualsiasi. L’espositore dell’edicola non va bene è troppo grosso. C’è un paletto rosso e bianco, ma è di plastica. La mia cintura non va bene, ha la fibbia troppo piccola.
Decido, e lo faccio in fretta. Userò il kung fu: lo stile del coniglio.
Tiro fuori un biglietto, timbro. Entro. Sta arrivando un metrò che prendo al volo.
Chiamo Ladyzilla.
- Senti, troviamoci a Pagano… Te lo dico dopo il perché… E’ lunga da spiegare. Diciamo che tutti quei pomeriggi che ho passato a fare il pirla per strada sono serviti a quacosa, ecco.
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