Neonomicon, quei tentacoli nella barba di Alan Moore.

Non è mai una cosa facile parlare del lavoro di alanmùr. Non per me. Non mi è facile leggerlo, figurati recensirlo. Dopo aaanni di letture, immaginami satollo di tutta la sua fiera delle meraviglie metatestuali di ri-scritture, di re-visioni, di de-costruzioni, e di tutto il suo corredo nuziale di pizzi e merletti immaginifico narrativi.
Ora gli integralisti della Chiesa Di Alan Dei Minutemen Degli Ultimi Giorni, verranno a prendermi sottocasa e mi puniranno severamente. Lo so già. Nei commenti a questo post dovrò sorbirmi delle lezioni sulla vita, la scrittura, l’universo e tutto quanto.
E’ chiaro che, come sceneggiatore di fumetti, quando leggo un lavoro di Moore rosico un sacco. Ma vorrei essere chiaro su un punto: a farmi rosicare non è quello che scrive, ma è quello che gli permettono di scrivere. La differenza è sottile, forse impossibile da spiegare ad un integralista, ma sono sicuro che chi può capire ha capito.
Come un intollerante al lattosio che si tuffa consapevole in una forma di Parmigiano, mi ritrovo a leggere Neonomicon.
In teoria un lavoro minore di Moore, pubblicato da una casa editrice in teoria piccola, la Avatar. Disegnato, sempre in teoria, non da uno degli dei dell’Olimpo del comicdom, ma dal “semplice” Jacen Burrows.
Tutto in teoria, perché in pratica Neonomicon ti prende e ti mena più forte di altri capolavori-conclamati della vasta produzione mooresca.
Inizi a leggerlo. Qualcosa che si agita nei meandri narrativi del come viene raccontata la storia, ti artiglia e ti impedisce di mettere giù il volume. Non puoi. Devi andare avanti, devi finirlo, devi completare quel percorso perverso.
E’ sconcertante la leggerezza con cui l’orrore frana e dilaga pagina dopo pagina. L’universo di Howard Phillips Lovecraft, tradotto in tavole da Moore e Burrows diventa l’ applicazione narrativa del mito. In purezza, direbbe uno chef.
Ed è tremendo. Nel senso buono e lovecraftiano del termine.
Neonomicon è una storia di genere, il lavoro metatestuale è stato fatto sul motore e non sulla carrozzeria. Come tutte le storie di genere che non fanno pimp sulla carrozzeria può tradire in alcuni passaggi, perché siamo nel 2011 e riuscire a mantenere la sospensione dell’incredulità per 160 pagine è un lavoraccio anche per zio Alan.
Eppure, dal prevedibile, riesce a uscirne con una sequenza tanto favolosa quanto tremenda. Sempre nel senso buono e lovecraftiano del termine.
Che cosa succede e come viene raccontato, trasformano la sequenza finale del secondo capitolo in un velenifero cioccolatino di tecnica narrativa. Un orrendo dolcetto di sceneggiatura, con un gioco di soggettiva/oggettiva, di vedo/non vedo che personalmente ho vissuto come un omaggio al senso più puro dello stile lovecraftoso, quello del non vedere mai nel dettaglio l’orrore che arriva e ti fotte.
Nel suo complesso è una lettura agghiacciante, un vero horror per mature reader, che funziona in maniera del tutto indipendente da una pregressa conoscenza di Lovecraft. Anzi, forse funziona meglio se non ne sai niente di niente di Grandi Antichi, di Cthulhu e compagnia bella.
Apri il volume e lasciati terrorizzare da un Alan Moore in splendida forma.

 

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