C’è Christina Ricci che l’hanno fatta dimagrire troppo e adesso ha la testa uguale uguale a una bambola Blythe. Tiri il cordoncino che ha sulla nuca e cambia espressione.
Il vero protagonista del primo episodio è il concetto di brand extension. Ci sono un miliardo di primi piani sul logo Pan Am, posizionato su ogni superficie vendibile.
Pregusto il momento dell’invasione di borse, borsine, magliette, spillette, guanti e guantini, gadget e tutto quello che si potrà comprare quando la serie diventerà di moda.
Ovunque leggo paragoni con Mad Men, ma francamente Pan Am è tutto quello che NON è Mad Men.
L’aereo decolla e io mi aspetto Leslie Nielsen, una bambola gonfiabile come pilota automatico, dei mamba neri che scivolano tra i sedili, Wesley Snipes che mena qualcuno, o perlomeno una madre che in volo sopra l’Atlantico urla: Kevin! Abbiamo dimenticato Kevin!
Montaggio a stella, con vari flashback sui personaggi. Nulla di nuovo. Dopo l’orgia flashbackosa di Lost, è dura attizzarsi con le storie parallele. Alcune parentesi sono interessanti, ma il non detto pesa un po’ troppo sull’effettivamente detto.
Tutta la menata pre-femminista sulla donna vincente che lavora, è indipendente e gira il mondo è sicuramente tra le righe, ma ce l’hanno infilata ben bene in fondo. E’ così perchè l’hanno detto tutti, fuori dall’opera di fiction però, non all’interno della narrazione. Così è facile. Troppo facile.
Molto triste la completa mancanza degli accenti nell’edizione italiana, ma ci siamo abituati.
Per fortuna che la colonna sonora, uguale a quella de “Gli occhi del cuore”, attenua moltissimo le sbrodolate melò, alleggerendo dei momenti altrimenti imbarazzanti.