Nel 1997 avevo da fare, per cui non ho visto Titanic al cinema.
Ho rimediato parecchio tempo dopo, in videocassetta. Mi era piaciuto? Non importa.
Tra l’altro, non sono mai andato al cinema il lunedì di pasquetta, e Titanictreddì mi sembrava l’occasione adatta per colmare le mie lacune.
Pasquetta al The Space Cinema di Rozzano, una bella gita.
Entro nella sala Uno con dovuto anticipo. Non abbastanza. Le piazzole migliori per il campeggio sono già occupate. Tutto pieno anche sotto lo schermo, nelle file di tavoloni in stile Oktoberfest, dove una giunonica cameriera serve boccali di birra da un litro e panini con wuster, patate e cozze.
Nell’aria si sente il piacevole odorino di costine che rosolano nel barbecue, bambini che corrono, coppie che giocano a racchettoni, una tizia che serve porzioni abbondanti di lasagne alla famigliola seduta nei posti H14,15,16,17,18, Gennaro! Vieni che’pprunto!
Due che fanno fatica a scendere le scale portando una betoniera di Pop Corn. Un bimbo che sguazza in una piscinetta gonfiabile piena di coca cola. Un tipo in motorino che arriva per consegnare una pizza. Tre teenager broccolate da dei fustacchioni. Carletto che piange perchè non trova la mamma, la mamma di Carletto che cerca il bagnino per far dare l’annuncio dagli altoparlanti, il bagnino che sta spiegando a dei tedeschi che non si possono stendere i panni tra una fila e l’altra. Gelati, pastiera, avanzi di agnello nelle confezioni di alluminio, cellulari che tuonano, i richiami dei primati da un albero all’altro, io che raggiungo il mio posto grazie al mio fidato elettropungolo per bovini.
Questa è la sala Uno dello Space Cinema di Rozzano a pasquetta.
I miei vestiti si impregnano immediatamente di odore di fritto. La temperatura media è sui 32 gradi. Si sta bene, mi dice il mio vicino in bermuda, passandomi il cocktail di benvenuto. Cerca di insegnarmi anche il ballo del villaggio di Rozzano, ma non riesco ad apprendere i passi in tempo.
Buio in sala. Otto ore di pubblicità. Un paio di trailer, tra cui quello di Bel Ami con Robert Pattinson. Che è come vedere un semaforo al posto di Richard Gere nel remake di American Gigolò.
Poi un cartello, in inglese, tradotto da mille sussurri: c’è da mette li ucchiali!
Tutti si infilano i fanali, in un unico gesto, come al giuramento dell’ottavo battaglione carristi.
Io non amo il 3D. Ma non importa. Forse sarebbe stato sufficiente rimettere Titanic nelle sale così com’era, in occasione dei 100 anni dal naufragio, ma non è andata così.
Lo popolo voleva il treddì?
Lo popolo ha avuto il treddì.
Sia chiaro: un treddì posticcio, rabberciato, più-o-meno, con un risultato a volte agghiacciante come i film in bianco e nero colorati al computer.
Pimp my Titanic per i primi venti minuti, poi hanno fatto vedere a Cameron l’avanzamento dei lavori e lui ha detto: Che è stammerda? Placatevi!
Einfatti, dopo una mezzoretta buona, tutto torna nei ranghi e lì ci rimane fino alla fine.
Comunque, in diverse scene c’è un favoloso effetto di strabismo involontario.
Sparandosi il treddì su un film non nato in treddì, c’è un piccolo problemino con le scene di dialogo dove un personaggio in primo piano parla con qualcuno di spalle di quinta.
Nel treddì quella nuca di quinta esce dallo schermo, dando all’inquadratura una profondità maggiore.
Il risultato, in Titanic treddì, è che il personaggio frontale mentre parla non guarda più verso quell’altro di spalle. Guarda fuori, perchè l’asse del suo sguardo viene spostato tantissimo dall’effetto tridimensionale.
Vedere Titanic oggi, con il senno di poi, fa uno strano effetto.
Chissà se Di Caprio e la Winslet, abbracciati sulla prua della nave, sapevano di girare una scena/icona del cinema contemporaneo.
Lei, mai così bella.
Lui, già bravo e bellissimo.
L’altro, Ciccio Tosto Billy Zane.
E poi l’acqua. Tutta quell’acqua vera, e non in computer grafica. L’avverti, la senti, con tutte le conseguenze di partecipazione emotiva.
E poi c’è la storia. Una storia che non strizza l’occhio allo spettatore, dippiù.
La sceneggiatura prende lo spettatore e lo bacia in bocca, ci limona duro come non ci fosse un domani.
Ci ho pensato anni. Anni e anni a rigirarmi nel mio letto pensando a Titanic, riflettendo su quanto fosse giusto dare allo spettatore tutto, tutto, tutto, tutto, tutto, tutto, quello che vuole, quando lo vuole, come lo vuole, con il linguaggio che vuole, nel momento in cui lo vuole, con tutti i modi possibili per fargli capire che gli stanno dando proprio quello che vuole.
Perchè Titanic è così. Treddì a parte, non è cambiato molto dal 1997.
E’ born to be kolossal, fin nelle virgole.
E in sala si sente, si sente ancora.
Le pale rallentano il loro ritmo, mentre estraggono manate di pop corn dalle miniere tenute in grembo, e in sala ci si commuove ancora.
La commozione è tale che nessuno se la sente di azzardare paragoni con Schettino e la Costa Concordia, non prima, non durante, non dopo la visione.
E se un film riesce a zittire il grebano senso dell’umorismo ittalico, vorrà pur dire qualcosa.