A me la questione di quelli “delle tre righe” diverte da matti.
Per cui, di nuovo, il post entrerà nel vivo tra un po’. Non ora.
Uso ancora l’intro lunga perché è una delle tante cose che ha fatto incazzare alcuni utenti di Friendfeed, il social network shabby chic. Hanno anche tirato in ballo Proust, ed era per quel motivo che mi fa male il ginocchio.
Mi fa sempre male il ginocchio destro quando qualcuno parla di Proust a sproposito.
Quindi, chi sono io per deludere la snobberia pneumatica dei friendfeeder?
Avanti con il prendere tempo, avanti con il girare in giro.
Fino all’inizio del post vero e proprio.
Che sarà…
Sarà adesso.
Dopo il mio articolo dell’altro giorno: clicca qui, è partito un lungo dibattito. Ho imparato molte cose da quelle discussioni. Grazie a tutti.
Grazie soprattutto a Francesco “baro” Barilli per la sua bella risposta. Clicca qui se vuoi leggerla.
Queste mie precisazioni si estendono alla discussione in generale, non soltanto all’articolo di Francesco.
Il punto più debole del mio ragionamento è stato un esempio. “Il Lercio”. Sì, ho sbagliato non solo a usarlo come esempio, ma anche a mettere un nome riconoscibile.
Se invece di scrivere: “Il Lercio” avessi scritto: “i siti che diffondono malignamente bufale”, forse la discussione non si sarebbe concentrata su altro, e non su un sito che, evidentemente, sta simpaticissimo a tutti e produce contenuti simpaticissimi per tutti.
Okay, la prossima volta starò più attento agli esempi che faccio.
Il fatto che io abbia detto che i siti che diffondono malignamente delle bufale andrebbero chiusi, ha evocato l’argomento principe che sta a cuore a tutti: La Censura.
No, non è Censura.
Torno al punto di partenza delle mie riflessioni.
La vita sociale e la vita social si sono unite, la mia real life e la mia vita digitale sono diventate un tutt’uno. Quindi:
Gli atti compiuti nella vita digitale di un individuo devono avere la stessa, identica, rilevanza degli atti che compie nella vita reale. Responsabilità e conseguenze devono essere sullo stesso livello, per tutto quello che faccio nella real life, e per tutto quello che faccio nel mondo digitale.
Tra l’allarme sociale che creano le bufale, e i danni che un neopatentato potrebbe provocare guidando un bolide a 300 all’ora io non vedo differenze.
Però, nessuno si è strappato le vesti, o ha urlato alla censura di fronte alle norme che impediscono a un neopatentato di guidare auto di potenza superiore ai 70 kw.
Stiamo limitando la libertà di un diciottenne di esprimere tutta la sua giovinezza andando a tavoletta in autostrada a bordo di una Ferrari.
Altro esempio. (Sbaglio a fare così tanti esempi, lo so.)
Volevo lanciare nel naviglio, qui a Milano, un manichino vestito con un kimono e con degli albi di Long Wei infilati nei pantaloni.
Un avvocato mi ha detto che, nella migliore delle ipotesi, avrei rischiato una denuncia per procurato allarme. E dunque?
Perché il procurato allarme deve valere soltanto nella real life e non per chi dice che la Kyenge vuole prendere i cani e i gatti degli italiani per sfamare gli immigrati?
Tra l’altro, quelli che hanno creduto alla notizia dei gatti, scatenandosi poi con commenti violenti, razzisti e sessisti sui social network, sono un numero molto maggiore di quelli che, vedendo un manichino galleggiare, crederebbero di vedere un cadavere.
La questione, però, è un’altra.
Fino a quando lo dico io che il “tal sito” andrebbe chiuso, va bene, perché rimane solo e soltanto una mia idea. (una provocazione? Non lo so. Ci devo pensare. Forse la mia era una provocazione involontaria)
Ma, prima o poi, visti i tempi in cui viviamo, l’idea di chiudere “tal sito”, potrebbe venire in mente anche a chi ha il potere di farlo, ma non ha le competenze per farlo.
Dico: Fini-Giovanardi, e ho detto tutto quello che dovevo dire.
E a quel punto, il discorso: “quelli che credono alle bufale sono dei coglioni ed è colpa loro”, si rifletterà in modo diretto anche su di te, o mio fighissimo utente del web che ridi di loro.
E qui arriviamo al sarcasmo.
C’è una differenza abissale tra sarcasmo e ironia.
C’è una differenza siderale tra sarcasmo, ironia e satira.
Non è una mia idea, non sono io a dirlo, è un dato di fatto. Spesso chi usa il sarcasmo è convintissimo di essere ironico, ma non è così.
Trascende il concetto di umorismo politicamente corretto o di satira all’acqua di rosa. L’ironia può essere frontale e devastante quanto il sarcasmo, ma rimangono comunque due cose separate e distinte.
Credevo che i finissimi pensatori di Friendfeed lo sapessero, ma a quanto pare sbagliavo.
(In compenso sono bravini a cercare le falle e gli errori. Se un giorno mi servissero dei correttori di bozze e dei proofreader farò la mia offerta)
Tornerò sulla questione del sarcasmo con un post-apposta.
Io non ho detto che il sarcasmo è “colpa” di qualcosa. Non ho detto che il sarcasmo è da “abolire”. Ho semplicemente detto che il web è diventato il tempio dove si celebra il commento sarcastico, e che il sarcasmo differisce dall’ironia.
Mi è stato detto che tanto, comunque, la gente non vuole essere aiutata.
Continuano a farsi il sangue amaro e a diffondere rabbia, ma non vogliono essere aiutati.
Cazzi loro, mi viene detto.
Lo ripeto, prima o poi questi cazzi loro diventeranno anche cazzi miei.
Queste persone vanno aiutate. Vanno aiutate a gestire la loro vita digitale, così come verrebbero aiutate nella real life.
A mio parere andrebbero aiutate loro malgrado, ma limitare la diffusione delle bufale non si può fare, perché altrimenti sei un fascista di merda che incita alla censura.
Come il codice della strada, un codice tanto fascista e illiberale da impedirmi di guidare quello che voglio andando dove e come cazzo mi pare.