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La storia della mia storia su Splatter.

17 aprile 2014 • By
Due premesse.

Uno: la foto vale anche come tardiva maglietta del lunedì.
Due: Non so quando uscirà questa storia, è appena appena stata messa in lavorazione.

Splatter, la rivista horror che più horror non si può, è tornata alla luce. Nello specifico il nuovo numero 1 è stato presentato alla scorsa Lucca Comics, e l’avventura editoriale della mitica rivista Nu Horror italiana sta procedendo con la sua consueta scia di sangue e frattaglie.
Tra il 1989 e il 1991 Splatter (e l’empio gemello: Mostri) erano le letture obbligate per tutti gli sbarbi come me appassionati di fumetti.
Ai tempi furono un grande successo editoriale, con tanto di cloni scarsetti, penetrazione maiuscole nell’immaginario collettivo e interrogazioni parlamentari per interrogarsi sugli aspetti più violenti presenti in quelle pagine.
Se vuoi fare fumetti, prima, i fumetti devi leggerli. E io li leggevo, a tonnellate.
Poi, destino mannaro, con un numero di Splatter nello zainetto, nel 1990 frequento un corso di sceneggiatura alla Scuola del Fumetto, capisco che cosa voglio fare da grande e poi il resto della mia biografia diciamo che più o meno lo sai.
Quando Splatter riapre, il suo oscuro curatore: Paolo Di Orazio, mi chiede se voglio collaborare con loro. E a me si apre un file di memoria nel mio cerebro.
Nel 1991 io avevo scritto delle storie per, definiamolo così, lo Splatter che fu.
Erano le prime sceneggiature che facevo, subito dopo il corso della Scuola.
Le inviai alla redazione e mi chiamarono anche.
Mi dissero che erano buone, ma purtroppo, stavano chiudendo i battenti.
Da un lato ero contento, dall’altro ero parecchio incarognito. Chiudeva una delle mie riviste preferite che avrebbe pubblicato un mio fumetto.
Dopo un pomeriggio di sbuffi e depressione, andai avanti a tentare di fare il lavoro che avevo scelto di fare.
Passano più di vent’anni e mi ritrovo a parlare di nuovo di Splatter, di una mia possibile collaborazione.
A Paolo dico: Sai che ai tempi avevo scritto delle sceneggiature per Splatter? Sono sicuro di averle ancora da qualche parte. Le trovo, le rileggo, se le reputo ancora valide, te le mando!
Nel 1991 avevo vent’anni vivevo ancora a casa con i miei. Per scrivere usavo una archeologica macchina da scrivere, questa qui:

Analogico assoluto. Carta, nastro di inchiostro e bianchetto per correggere.
Io non butto via (quasi) niente. Per cui, da qualche parte, in qualche scatolone, in qualche archivio, quelle storie ci sono. L’unico problema è capire dove.
In questi mesi ho esplorato cantine e solai. Ho infilato la testa tra la polvere e le ragnatele, al buio. Sia a casa dei miei, sia a casa mia, tra cantina box e magazzini.
Niente.
Quelle storie lì, quelle scritte con l’Olivetti Lettera 35 non le trovavo.
Avevo ritrovato tutto il cartaceo che avevo prodotto negli anni.
I racconti horror scritti a mano alle medie, quelli scritti a mano alle superiori, tutto quello che avevo scritto con la macchina da scrivere elettrica, nell’interegno tra la Olivetti e il mio primo Pc. Un Compaq Presario arrivato nel 1995.
Niente.
Le storie per Splatter non le trovavo.
Poi, un bel giorno, in uno scatolone senza etichette…
Eccole.

Sono quattro. Le rileggo, secondo me di buone ce ne sono due.
Anzi. Seccondo me  a vent’anni scrivevo meglio di adesso.
Decido di tenerle così come sono. Non cambio nulla, non correggo, mi limito a fotocopiarle.
Le porto a Paolo quando vado a Romics per le questioni di Rubio.
Lui, felice, riceve il plico con gli occhi che gli brillano.
Delle storie per Splatter, inedite, originali degli anni ’90. Scritte nel pieno del mood splatteriano, originali negli itenti, figlie di quel periodo lì e di quello che si respirava e viveva in quel periodo lì.
Ne è felicissimo.
Gli piace un sacco anche tutta la la storia che c’è dietro a quelle storie, insomma le leggerà e mi farà sapere.
Mi chiama il lunedì successivo.
Non ti dico che cosa ci siamo detti in quella telefonata, sono cose personali, sono questioni di stima reciproca, di cose che fanno benissimo all’ego. Parole che ogni tanto serve sentire, per poter andare avanti a fare questo lavoro con animo più sereno.
Si dice stupefatto, ma nanche tanto, visto quello che ho fatto dopo, di come scrivevo a vent’anni.
Fatto sta che di quelle due storie abbiamo deciso di metterne in lavorazione una, con variazioni minime.
In un certo senso è un cerchio horror che si chiude.
Quindi, a breve, potrai leggere una delle primissime storie a fumetti che ho scritto nella mia vita, uno spaccato del Cajelli vent’enne e di tutto quello che mi si muoveva dentro.
E fa paura, per tantissimi motivi diversi, ma avremo tempo di parlarne quando l’avrai letta.