È successo ancora. Un paio di giorni fa. Nell’autoradio parte Bongo Bong e io mi ritrovo con gli occhi pieni di lacrime. Mi ritrovo a dover combattere contro un feroce groppo alla gola.
Ho messo la freccia, ho accostato. Mi sono asciugato le guance, ho tirato un sospiro e ho spento la radio.
Non riesco più ad ascoltare Manu Chao.
Non resisto con quella vaccata di Me Gustas Tu, figurati con Welcome to Tijuana.
No, non ce la faccio, fa troppo male.
Manu Chao, una volta, era sempre nell’aria. Manu Chao, una volta, quando credevamo che un altro tipo di mondo fosse possibile era suonato ovunque. Tra la fine degli anni novanta e i primi anni del duemila. Si sentiva nei concerti prima che salissero i gruppi, ai festival, nei centri sociali, a Radio Popolare, nelle cascine, in Scaldasole, nei mercatini…
Clandestino, tutto l’album a ruota. Più volte. Manu Chao e infradito, mariagiovanna, pantaloni corti e le zanzare sataniche di Monluè.
Si sentiva così tanto che, alla fine, mi stava anche un po’ sul cazzo perché il troppo storpia.
Adesso invece, magone e dolore pantagruelici.
Manu Chao, per me, è la colonna sonora del massacro di Genova.
Manu Chao, per me, è la musica del Titanic che affonda, è il soundtrack di tutto quello in cui credevamo, giusto o sbagliato che fosse, fatto poi a pezzi e trasformato in quello che abbiamo adesso.
Il suono, profondo, ipnotico e devastante di una sconfitta totale, senza aver ottenuto nemmeno l’onore delle armi.
La resa, la fuga, il raccogliere i pezzi. L’adattarsi, il digitalizzarsi, il cercare e il non trovare.
Mai.
Non è la melanconia di quanto era bello quando eravamo giovani, apperò, musica come testimone della trasformazione da idealisti cenciosi in borghesotti urbanizzati.
Per niente.
Sono le note di una marcia che diventa oscena e funebre, che passa per Genova, attraversa l’undici settembre, e rotola per i dieci anni successivi. Anni che, mentre ascoltavamo Manu Chao, non immaginavamo così.
Proprio per niente.
Nobody’d like to be in my place instead of me.
Cause nobody go crazy when I’m bangin’ on my boogie.