A me la realtà non piace tantissimo, ecco perchè preferisco quando mi vengono raccontate delle storie.
Storie. Storia.
Approcciandosi a 1992 bisogna tenere ben presente che non si tratta di una docufiction, o della novellizzazione degli articoli del periodo di Colaprico. Non è un documentario, non è una biopic, non è nemmeno uno sceneggiato basato su qualcosa o qualcuno. Ci sono dei fatti realmente accaduti, dei personaggi realmente esistiti, una collocazione storica e ambientale molto precisa, ma tutto questo è montato su impianto narrativo di finzione pura.
In un certo senso è come se gli autori di 1992 avessero preso quel contesto storico e quelle situazioni trattandole come è stato trattato il folklore europeo dai primo scrittori horror, o dagli autori della Hammer tra gli anni cinquanta e i sessanta.
C’è del vero, ma anche no, c’è dello storico, ma anche no, c’è del realmente accaduto, ma anche no.
La struttura del racconto si calibra, in un modo cazzutamente complesso da gestire, tra il reale e l’immaginario. Ti fornisce gli elementi necessari per farti ricordare quei fatti e quelle situazioni, ma appena ti senti storicamente a tuo agio, vira a babordo in un contesto di finzione.
Questo lavoro di scrittura porta per forza di cose a un paradosso. Adoro i paradossi. Da spettatore mi sono ritrovato sballottato in continuazione tra il ricordo evocato, preciso e letale come la lama di un rasoio, e il valzer della finzione. All’inizio l’effetto è piuttosto straniante. Il mio cervello continuava dirmi: eh, questa è andata davvero così. Eh, no aspetta, qui si alza il volume sulla fiction. Dopo un po’ però mi sono accorto che quell’effetto era molto molto piacevole.
Il paradosso tecnico/narrativo è quindi sul fare leva (e che leva) su degli elementi emotivi legati a una realtà del passato, per alimentare e amplificare il rapporto con la trama di finzione.
Il 1992 è un’esca. Lucida e spietata come tutte le esche, e più ti concentri sul: “è successo veramente così, mi ricordo perchè c’ero”, più ti ritrovi coinvolto dal plot e dalla narrazione.
C’è un scena che rappresenta a pieno questo concetto.
L’uscita di Mario Chiesa da San Vittore. E’ stata ripresa paro paro dal telegiornale. Stessa faccia da “aggettivochenonmicostiunaquerela” con la cicca o la caramella ciancicata in bocca.
Mi ricordo quelle immagini, quel ciancicare la caramella. C’ero. A casa, davanti al telegiornale. Da un punto di vista emotivo quelle immagini per me sono state molto forti, perchè mi hanno riportato alla memoria quello che, da ventenne, avrei voluto fare a quella faccia “aggettivochenonmicostiunaquerela” ciancicante la cicca. Poi, l’uscita reale da San Vittore, si intreccia con la fiction, con quella carezza sulla guancia della giornalista/sorella della soubrette.
Ecco.
Questo è 1992. Un intreccio complicato che, se eri nell’età della ragione in quel periodo lì, puoi capire forse meglio di chi non c’era.
1992, la serie.
Sky Atlantic
la parte con Accorsi per ora sembra presa di peso da house of lies