Vieni, c’è una strada senza spoiler nel bosco,
il suo nome conosco,
vuoi conoscerlo tuuuuuu?
Il campione dei pesi massimi del formalismo russo Valdimir Propp, lo sostiene dal 1928: le fiabe sono al centro.
Per dirla come se avessi fatto le scuole alte. L’ossatura narrativa della letteratura di genere, privata dalle caratteristiche specifiche legate al genere formulaico di riferimento, deriva direttamente dalle fiabe classiche e ne rappresenta la sua evoluzione coniugabile ai linguaggi contemporanei.
Tutto parte delle fiabe e poi diventa altro. Ma è nelle fiabe che si incontrano e si riconoscono tutti gli elementi che costituiscono il nostro racconto di genere, di qualunque genere esso sia.
Usare le fiabe oggi significa maneggiare degli elementi che si trovano nello strato più profondo e primigenio del DNA narrativo globale.
Stephen Sondheim, che non è un pirla, questa cosa la sapeva benissimo quando, nel 1986, si è messo a scrivere Into The Woods.
Rob Marshall, che non è da meno, sapeva di avere muscoli registici a sufficienza per dirigere la versione cinematografica del musical di cui sopra.
Into The Woods, nelle italiche sale a partire dal 2 Aprile. 125 minuti di bombazza musicàl disneyana con un cast da ehllapeppa, dove spiccano Meryl Streep, Emily Blunt e quel tanto che basta di Johnny Depp.
Il film, come l’opera teatrale da cui deriva, è un mashup tra diverse fiabe, mescolate e intrecciate tra loro in un unico flusso narrativo.
Fiabe. Quelle al centro, dicevo prima.
Per dire: soltanto usando le fiabe, e lavorando sui massimi sistemi dell’immaginario globale, è possibile gestire una sequenza di prologo come quella che si vede nel film.
In meno di tre minuti viene presentato tutto. Viene introdotto ogni elemento che si svilupperà poi, e viene, ricordiamoci che è un musical e nei musical funziona così, raccontato/cantato quello che sarà il tema morale dell’intera vicenda.
I desideri.
Questa è una fiaba che parla di favole che come morale della favola ti dirà qualcosa sul concetto stesso di desiderio.
Ci si arriverà per gradi, percorrendo sentieri in parte consueti e in parte inediti. Tenendo sempre presente il punto di partenza: la fiaba classica.
Non dovrei dirlo, perchè dovrebbe essere una caratteristica nota a tutti, ma ci tengo a sottolineare che la base è la fiaba classica. Quindi, sappilo, ci sono delle sequenze forti. Perchè nelle fiabe classiche c’è anche il male, c’è anche il dolore, c’è anche la perdita e l’oscurità.
Ovviamente è un film per tutti, ovviamente ci puoi portare tuo figlio, ma devi essere pronto a fare il genitore davvero. Devi essere tu a fornire al pargolo gli strumenti necessari per fargli capire quello che sta vedendo.
Proprio come accade quando gli leggi una favola classica.
Usare le fiabe consente di fare un lavoro su diversi livelli. Spesso si sfonda la quarta parete e si aprono parentesi metatestuali ironiche, ricche di inside jokes disneyane/fiabesche. In parte, secondo me, questo alleggerimento serve per allungare una mano verso tutti i Giovini Disillusi Dall’Arido Cuore Postmoderno, refrattari a qualsiasi tipo di patto di complicità.
Comunque sia, il lavoro interpretativo e di riscrittura fatto, per esempio, sui principi azzurri è meraviglioso. L’intera sequenza dei due che cantano le loro pene d’amore è straordinaria.
Così come sono straordinarie le locations, dove si torna al classico cinematografico, tutto è girato in ambienti reali. Il bosco è vero, esiste, si trova al confine tra il Berkshire e il Surrey.
(Qui si sarebbe un altro paragrafo, però mi sono reso conto che spoileravo troppo, anche se rimanevo vago e quindi l’ho tolto. Metto il pezzo integrale nell’area Vip tra un paio di giorni)
Mi dispiace un bel po’ di non aver visto il musical originale, l’ultima volta è andato in scena a Covent Garden nel 2007, forse ero anche da quelle parti, ma l’ho mancato.
Prenoto il biglietto se dopo il film dovessero tirarlo fuori di nuovo.