Fare soldi con le bufale.

A Gennaio, di fronte al panorama sconfinato di celenterati che abboccano alle bufale e le condividono in modo torrenziale, decido di trasformare in ragionamento il mio giramento di palle.
Scrivo un post sulle bufale, dal titolo: Il business dell’ignoranza e dell’odio. Ci associo l’hashtag: #avoistabene?
E decido di aprire una discussione. Dato che i siti bufalari sono pieni di inserzioni pubblicitarie, quei marchi lo sanno a chi stanno dando i loro soldi?

Scoppia un bel casino.
Interviste, altri articoli, marchi che si dissociano, gente che applaude, banner rimossi, siti che ne parlano. Insomma, si apre il dibattito. Clicca qui che c’è l’elenco di quello che è successo in quei giorni.
La mia posizione è piuttosto diretta, okay. Parto dal presupposto che chi crea la bufala lo fa per i click e per i soldi, e che tutti quelli che le condividono in modo massivo sono dei poveracci incapaci di usare la Rete e il loro cervello.
Sì, sono politicamente scorretto, ma io posso permettermelo. Io devo provocare una reazione, è il mio ruolo di blogger.
Passano i mesi. Sottotraccia, il dibattito va avanti, non è più di “moda” come a Gennaio, ma di bufale, soldi e quant’altro si continua a parlare.
Notizia dell’altro giorno. Il Sole 24 Ore pubblica un bell’articolo sullo stesso argomento: Questa notizia è clamorosa (ma falsa): è la bufala bellezza.
Lo stesso articolo è stato ribalzato poi dal Post con il titolo: Le bufale sono un business.
Bene.
Tolti i miei eccessi, secondo me ci siamo. Il lucido articolo del Sole 24 Ore, che non se la prende con i coglionazzi che abboccano alle bufale, fornisce un quadro economico generale su quanto si mettono in tasca i bufalari con le loro imprese.
Dire che il tipo di Catena Umana guadagna “1.000-2.000 euro al giorno” diffondendo merda è molto più incisivo di fare domande alle agenzie pubblicitarie.

Ora scusami, ma devo salire su una scia chimica che mi aspettano al Gruppo Bilderberg, dove noi web influencer prendiamo il caffè bullandoci delle nostre imprese.

9 thoughts on “Fare soldi con le bufale.

  1. Va dato atto al Post, a Costa e a Sofri di essere sul pezzo da mo’. Aspetto con curiosità il libro “Notizie che non lo erano”.

  2. Scusate, ma il tizio di Catena Umana può tranquillamente dire di pubblicare bufale, consapevole del fatto che lo sono, ed infangando persone ignare, allo scopo di fare soldi, e la cosa non ha conseguenze?

      1. ok, ma al momento se la cava così? Cioè, uno può ammettere di pubblicare stronzate (prendendo anche, come base e senza permesso, un articolo del Giornale, che qualcuno ha scritto e che qualcun altro ha pagato), e non stronzate su Atlantide e Mu, ma lesive della dignità e della reputazione di persone vere, allo scopo di lucrarci, e non va incontro a nessuna punizione o limitazione? Davvero siamo così carenti a livello legislativo?

        1. Sì.
          E’ per questo motivo che l’idea è di aggirare il problema legislativo con un intervento “tecnico digitale”. Non so se hai tempo di scavare qui nel blog, ne ho parlato più volte. La faccenda è rendere gli inserti pubblicitari sensibili al contesto in cui vengono messi. Chiudi il rubinetto dei soldi, di conseguenza chiudi anche quel tipo di siti. Fino a quando a fare “numero” saranno le visualizzazioni di pagina e non i contenuti, le concessionarie di pubblicità premieranno sempre quel genere di sito.
          C’è ancora molta molta molta strada da fare.

          1. Fatto. Ed effettivamente approvo il tuo punto di vista. E mi lascia perplesso chi ti accusa di incitare alla censura. Come dici tu, se uno vuol continuare a pubblicare stronzate, lo fa comunque. Ma guadagnarci no. Però rimango dell’idea che quando si offendono persone con tanto di nome e cognome, e non esponendo opinioni, condivisibili o meno, ma diffondendo falsità che si sa essere tali, servirebbe qualcosa di più incisivo. In mancanza, se io fossi stato un amico di Greta e Vanessa, al tizio di Catena Umana avrei dato una sostanziosa dose di legnate.

  3. Per me il vero problema è che in Italia non si è riusciti ad affrontare il “problema social” in maniera chiara,lucida e coerente,quasi che questo fenomeno del web ci avesse investito improvvisamente come un treno in corsa.Il mondo dei social viene visto da molti come una zona franca,un luogo in cui dire e fare ciò che si vuole in tutta libertà,senza che vi sia alcun genere di sanzione,o di pena. Ed in effetti,salvo qualche caso isolato,è proprio così che stanno le cose.Basta vedere tutto il caos da te su citato,in merito alla questione di Greta e Vanessa,e ultimo ma purtroppo non ultimo,il caso dei 700 migranti morti in mare pochi giorni fa.
    Nessuna sanzione,niente,quasi neanche una parola.
    Perchè poi,se si guarda bene,queste manifestazioni di ignoranza e odio,questi commenti,e bufale di ogni sorta,vengono da molti scambiati come “libertà d’espressione”.
    In tempi come questi credo che la questione necessiti di una regolamentazione lucida e approfondita.Siti come “catena Umana” (e naturalmente non è il solo) fomentano l’odio,in un paese in cui l’esasperazione e la disperazione la fanno a padrone. Non esiste terreno più fertile di questo per impiantare le radici dell’odio e dell’ignoranza.
    Una delle prime soluzioni sarebbe certamente quella di ampliare la portata del reato di diffamazione e far si che le sanzioni previste dal nostro codice penale vengano applicate non solo nella vita “reale” ma anche nella vita dei “social” (che altro non è poi se non un espressione particolare della vita reale). Lungi da me il desiderare pene esemplari,per altro vietate dal nostro ordinamento,ma le sanzioni applicate anche solo ai fautori dei siti di bufale,per me sarebbero un buon deterrente.

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