Fumetto, il circolino del fumetto assassino, Io e i fumetti

Battaglia: Intervista a Michele Monteleone.

7 maggio 2015 • By

Sono tutto pieno di pigrizie.
Mi piace fare le interviste, ma non ho voglia di scrivere le introduzioni. Ovvero, quella parte utile, che di solito si mette prima, per spiegare il perchè e il percome, il chi sto intervistando e di che cappero parliamo.
Quindi, come ho già fatto per l’intervista a Matteo Casali, per tutta quella parte lì ti linko il lavoro serio fatto da altri.
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Io ho intervistato Michele Monteleone, lo sceneggiatore di questa miniserie e di altre cose.

Per me Battaglia è un vecchio amico. Lo conosco da anni, tra me e lui c’è un rapporto che dura da parecchio tempo. Tra la valanga di cose che ha pubblicato Roberto è quella che preferisco. Per me rappresenta un sacco di cose, robe che non sto a dirti perchè altrimenti faccio la figura del vecchio carampano. Che cosa rappresenta per te Battaglia?
Devo essere onesto al cento per cento: prima di iniziare a lavorarci su, non rappresentava assolutamente nulla per me. Il mio personaggio preferito di Roberto è David Murphy, avevo letto le avventure di Battaglia una sola volta, senza prestarci molta attenzione ed era solo un fra tanti. Ma la mia diffidenza iniziale è durata poco e, a pochi giorni dall’uscita del mio numero, devo dire che per me ora Battaglia rappresenta la mia prima grande sfida, il primo passo in un mondo che ho sempre guardato da fuori. È stata anche la prima volta che ho sentito di essere finalmente (anche se ancora solo in parte) padrone del mezzo che stavo utilizzando. Ad oggi per me Battaglia è l’inizio di tutto, il mio primo amore e, come ogni primo amore che si rispetti, forse solo quando sarà finito, avrò la lucidità necessaria per dirti davvero cosa ne penso.

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Che tipo di rapporto hai con lui?
Battaglia mi spaventa un po’, ma d’altra parte raccontiamo attraverso lui pagine tanto nere della storia d’Italia che il male che rappresenta, al confronto con quello reale, ne esce fuori quasi disinnescato. Le motivazioni di Battaglia sono sempre cristalline nella sua malvagità, mentre gli artefici della storia del nostro paese hanno sempre motivazioni complesse, sfuggenti e, per questo, spaventose. A un certo punto della sceneggiatura Batta ha cominciato a farmi l’occhiolino attraverso le pagine e ho capito che eravamo diventati amici.

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Parlare del duce, oggi, in Italia, non dovrebbe essere difficile. Ma lo è. Dico bene?
Sì, lo è. Soprattutto perché non siamo abituati a raccontare la nostra storia, né a utilizzarla come sfondo per le nostre storie che di solito preferiamo allontanare, ambientandole in altri paesi. Sono pochi ad avere il coraggio (?) di far muovere i propri personaggi sul suolo della penisola ed è un vanto per me essere al secondo progetto a fumetti ambientato in Italia (il primo dovresti ricordarlo bene anche tu).Invece parlando del fascismo nello specifico, non sembra anche a te che ogni volta che se ne parli, vedi il caso delle fiction Rai, ci siano sempre e solo bravi e coraggiosi italiani e tedeschi cattivi? Siamo stati una nazione fascista, è una pagina atroce della nostra storia, far finta che non esista invece è lo sport nazionale. Detto questo, Batta naturalmente non è un trattato storico, anzi ci siamo presi tutte le libertà del caso facendolo agire nelle pieghe non scritte della storia vera, ma penso che anche questo sia importante per combattere quest’inutile ritrosia a parlare del nostro passato.

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Domanda tecnica che capiranno in quattro: Più o meno a che pagina Pietro ha iniziato a “muoversi da solo”?
(Dopo aver letto la seconda risposta all’intervista immagino tu abbia sorriso, capendo quanto ho in realtà compreso la tua domanda)
Devo dire che non ci ha messo tanto, ma a differenza di un personaggio come il tuo Long Wei, Pietro mi ha spaventato, ha davvero preso il controllo, decidendo per fatti suoi cosa dire e fare. Io solitamente non sono tanto cattivo. Ora delle quattro persone che hanno capito la domanda, almeno due pensano che sono pazzo!

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Battaglia, poi L’ospite di Dracula, poi Dylan Color Fest e Nick Banana. Come hai gestito i cambi di linguaggio?
Avevo letto che Cameron ha scritto in contemporanea Aliens, Terminator e il secondo capitolo di Rambo. Per riuscire a gestire tutti i progetti aveva tre diverse postazioni di lavoro e sentiva musica diversa mentre scriveva ogni singola sceneggiatura. Io non mi potevo permettere il lusso delle tre scrivanie, ma sentivo Bach e Beethoven per fare da sottofondo a Dracula, la colonna sonora di C’era una volta in America per Battaglia e gli OutKast per Banana. Mi sembra che alla fine il trucco abbia funzionato.

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Per me cambiare registro e tecnica di sceneggiatura passando da un progetto all’altro è diventato una sorta di automatismo. Anzi, non riuscirei a stare sempre e soltanto su un progetto solo. Come ti sei trovato?
La prima volta che ho scritto un fumetto (un’autoproduzione Villain), ne ho scritti tre insieme. Non sono abituato a lavorare a una cosa sola e anzi mi annoio facilmente se non saltello da una sceneggiatura all’altra. La mia stima assoluta va ai disegnatori che investono un quantitativo di tempo assurdo in un solo progetto alla volta e non ci mandano (quasi) mai a quel paese.

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Ora, perdonami, ma la butto sul generazionale. Del resto, questa intervista potrebbe essere considerata un confronto tra uno della vecchia scuola e un talento emergente. Ti senti lo sceneggiatore della tua generazione?
Ci ho pensato un po’ prima di rispondere. No, non penso di essere ancora uno sceneggiatore rappresentativo della mia generazione. Ma iniziano a starmi strette certe affermazioni tipo “è così”, “fidati, lavoro da più tempo di te in questo settore” o la migliore “il pubblico non lo capirebbe”. Quindi ti direi che per ora gioco secondo le regole, dimostro di saper lavorare come vogliono i miei committenti, imparo da tutte le volte che quelle frasi fastidiose, si rivelano corrette, ma nel frattempo imparo a fare pressione sui limiti a spostare anche solo di pochi passi i paletti fissati da chi è venuto prima di me. Sono una forza travolgente e rivoluzionaria? No. Non mi interessa esserlo ora, non sono pronto per esserlo. E in ultima analisi penso che gli stravolgimenti dal giorno alla notte, sono solo fuochi di paglia che bruciano in fretta e scoprono fin troppo il fianco ai reazionari, io vorrei cambiare le cose poco alla volta, ma che quel cambiamento duri per sempre, o meglio fino alla prossima generazione.

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La fortuna della mia generazione è che quando abbiamo iniziato non c’era Facebook. Allacciati le cinture, sto per rivelare quanto sono carampano. Leggo L’Amaca di Michele Serra. L’altro giorno si concludeva così: “Il successo in Italia è sempre visto come un furto ai danni di mediocri.”
Prima dell’uscita di Battaglia ti avrei detto che è vero, poi sono stato al Napoli Comicon e ci sono state così tante persone che sono venute allo stand o mi hanno scritto in privato per farmi i complimenti, che mi sembra solo che sia una minoranza molto rumorosa quella che invidia il successo sentendosi costantemente rapinata. Immagino sia molto semplice giustificare i propri fallimenti immaginando oscuri retroscena nel successo degli altri. Ci ho fatto il callo presto. Mi incazzo ancora quando mi pungolano, ma capisco anche che sia complicato vedere dietro al successo di qualcuno tutta la strada che ha fatto per arrivarci, gli innumerevoli fallimenti che sono serviti a creare il successo stesso.

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