In edicola c’è Pulp Stories!
9 gennaio 2016 • By Diego CajelliEbbene sì. Grazie ai tipi della Cosmo, festeggiamo il ventennale di Pulp Stories tornando in edicola con un volumazzo unico che raccoglie tutti i numeri della miniserie uscita quando eravamo ggggiovini.
C’è anche un capitolo inedito, disegnato da Mariano De Biase.
Nel suo capitolo non c’è neanche un Carlino, ma farò presto ammenda per il gravissimo errore.
Se ti va, cliccando qui trovi una recensione del volume in edicola.
Quando Pulp Stories è stato ristampato da Edizioni BD, dieci anni fa, avevo scritto un lungo pezzo redazionale che raccontava i vari perchè e i vari percome.
Nella nuova edizione quel pezzo non c’è, metti che ti interessa, lo metto qui. C’è anche una parte dove racconto alcune cose dietro le quinte narrative.
Oltre alla cronaca di come realizzammo la mini originale, nella preistoria dell’editoria indipendente italica.
Cajelli che ti racconta Pulp Stories:
Quando ho scritto Pulp Stories avevo 24 anni, non so se è un merito, avevo così tante cose da imparare che ero convinto di averle già imparate tutte, capita, quando sei un ragazzino e sforni un fumetto di successo.
A quei tempi, Giuseppe Calzolari il preside della Scuola del Fumetto di Milano, aveva intenzione affiancare alla scuola una casa editrice interna, mi ricordo che in cantiere c’erano numerosi progetti, e quando gli proposi Pulp Stories mi diede fiducia e carta bianca, lo ringrazio ancora per quell’opportunità.
Mi resi subito conto che la gestione completa di un fumetto era decisamente un affare complicato, non sapevo nulla di grafica, di editoria in generale o di lavori redazionali, l’unica cosa che sapevo era che ai disegni volevo fortissimamente Luca Rossi.
Eravamo entrambi reduci da un episodio di Demon Hunter, gli chiesi se gli andava di fare Pulp e lui, con accento veneto, i riccetti e il suo sorriso di uno che la sa lunga, mi disse di sì.
Per le copertine, grazie alla complicità di una lunga e salda amicizia, scritturai Mauro Muroni, che decise una linea grafica molto particolare: nessun colore e un uso molto narrativo dei grigi, l’immagine non doveva essere uno shot classico della storia, ma un “riassunto” visivo delle atmosfere dell’albo.
Il lettering, che a quei tempi si faceva ancora a mano, venne affidato a Sabrina Saito, che con estrema perizia e pazienza, scrisse per benino tutti i miei sproloqui verbali.
Serviva ancora qualcos’altro, e ci inventammo una redazione.
Vennero chiamati Giovanni Bufalini e Luca Bertelè, erano appena usciti dal corso di fumetto, anzi, Luca era all’ultimo anno.
A loro, affidammo il compito di gestire la situazione da un punto di vista grafico e redazionale, impaginavano, facevano i menabò, scrivevano o si occupavano di coordinare i vari collaboratori che chiamammo ad aiutarci per le illustrazioni, gli omaggi e gli articoli di approfondimento delle rubriche interne.
Tutto quel lavoro era fatto a mano, con la colla cow, le forbici e il righello, il computer era uno strano coso dentro i film di fantascienza.
Conobbi Luca Bertelè proprio in quel periodo, e il suo aiuto fu così prezioso e trasversale che coniai apposta per lui una figura redazionale, rubandola al cinema, in tutti i credits lui è indicato come Best Boy, un abile tuttofare.
Alla prima fiera utile, Lucca 1995, potammo il numero 0.
Luca Rossi, Mauro, Giovanni e Bertelè, si misero a disegnare per i lettori, ci inventammo due carte intestate diverse, su una, Muroni e Rossi disegnavano i personaggi protagonisti della serie, sull’altra, chiamata: “Personaggi così Pulp che non vedrete mai sulla serie regolare”, Bufalini e Bertelè sparavano ad alzo zero schizzi e illustrazioni autonome e decisamente potenti.
Portammo avanti questa linea per tutte le fiere successive, in oltre, al nostro stand facevamo un gran macello, ci vestivamo da Iene, andavamo alle conferenze con fucili e pistole, ci si muoveva nell’ambiente come dei caterpillar incazzosi.
Girò una voce: I Pulp Boys se la tirano un casino.
Era vero.
Non dovrei essere io a dirlo, per cui fate conto che lo stia dicendo un altro, ma è indubbio che noi con Pulp Stories, lo Shok Studio con Morgue ed Egon, la Liska Prod con il Massacratore, la Down Comics con Capitan Italia e Roberto Recchioni con Battaglia, ci inventammo da zero l’editoria indipendente, portando avanti quel discorso iniziato poco prima da Lorenzo Bartoli con Arthur King.
Non dovrei essere io a dirlo, ma in quel periodo c’erano solo le grandi case editrici con le loro testate e le Fanzine dell’oratorio fotocopiate in proprio, il concetto di produzione professionale indipendente da una major non c’era.
Due nanosecondi dopo, arrivò la folla di autoproduzioni che caratterizzò i primi anni ’90.
Eravamo troppo over per essere under, eravamo troppo pro per essere fan, eravamo troppo pane e salame per essere artisti, eravamo troppo giovani per essere rispettati, per cui, alla fine eravamo solo una cosa: degli outsider.
Le nostre strade da outsider si sono divise, riunite, divise ancora, abbiamo incontrato altri come noi sul nostro cammino, siamo diventanti un po’ meno out e un pochino più in, ma alla fine, anni dopo siamo ancora qui, a parlare di un fumetto che ha dovuto cambiare nome in corsa, sotto la pressione della lettera di un avvocato di un editore che non c’è più. Siamo ancora qui, con ancora tantissima voglia di fare fumetti e la costanza per farli.
Pulp Stories, dietro le quinte:
Lester e Chester.
I loro dialoghi sono veri, sono la trascrizione letterale dei “litigi” di due amici di quel periodo, Gerry e Davide, due bravi ragazzi che ormai ho perso di vista da molto tempo.
Davide era molto più pulp di quanto traspare dal fumetto, una volta mi raccontò che durante una rissa aveva infilato una mano in bocca a un tizio, “lavorando di unghie sul suo palato”.
In genere, le canzoni di De Andrè non vengono citate da un poliziotto californiano serial killer completamente sciroccato.
Lo so, era ed è uno strappo molto forte al concetto di plausibilità, in questa versione abbiamo cercato di giustificarlo, secondo noi, adesso regge.
La strana fogliazione del numero 1.
In origine, il primo numero di Pulp Stories, unico caso nell’editoria universale, è di 25 pagine.
Nel mondo della tipografia, regolato dall’unità di misura degli ottavi, quel numero uno è uno strano freak in grado di sballare tutta la lettura di questo volume.
Per quel motivo, abbiamo inserito quella tavola nera con la didascalia, per fare in modo che non venissero alterati tutti i montaggi da pagina dispari a pagina pari dei numeri successivi.
Ma perché quel numero era di 25 pagine?
E’ tutta colpa di Giuseppe Palumbo.
A quei tempi, gli facemmo vedere alcune tavole di Pulp prima di darle alle stampe, lui ci consigliò di spiegare meglio la questione delle visioni in soggettiva di Romero, lo sbirro vede il mondo come un cartone animato disneyano, secondo il buon Giuseppe, andava fatto capire subito e per bene.
Seguimmo il suo consiglio, e io lo seguii come uno scemo.
Inserii una tavola, una sola, nel numero uno, aggiungendo delle vignette nella sequenza del ritrovamento di Donovan.
I Filosofi.
Per i Filosofi che Giusti massacra in Messico, Luca ha voluto usare i nostri volti, ci siamo tutti, io e Mauro Muroni siamo i primi ad essere freddati, poi tocca a Bertelè e infine a Giovanni, nonostante il fucile Franchi SPAS 12 che imbraccia.
Il Film del Portiere.
Romero sorprende il tizio, mentre sta guardando “Ultimo Tango a Parigi” di Bernardo Bertolucci.
Giancarlo Giannini.
Il film in questione è “Pasqualino Settebellezze”