Tutto quello che non ti diranno mai su Captain Marvel.
Ogni azione sulla storia dell’umanità ha una sua precisa reazione nell’immaginario collettivo e nelle successive strutture narrative.
Realtà e fantasia si fondono, riverberano l’una sull’altra, in un gioco infinito di rimandi, influenze, cambi di ruoli e paradigmi. Il tutto a seconda del momento storico culturale in cui una storia viene immaginata e raccontata.
Partiamo dall’11 settembre.
I fatti di quel giorno, e tutto quello che ne è conseguito a livello globale, in campo militare, psicologico e umano hanno impattato con estrema violenza nell’immaginario e nel modo di concepire le storie. Improvvisamente, il concetto di nemico veniva spogliato dall’idea stessa di divisa, di esercito regolare, di diversità esteriore. Il nemico, narrativamente, diventava il nostro vicino di casa, il terrorista irriconoscibile della porta accanto. Su questo concetto di antagonismo sono state costruite milioni di trame dal 2001 in poi. La sua massima espressione, secondo me, è stato il remake di “Battlestar Galactica” del 2004, dove i Cylon non erano più i robottoni paranazisti degli anni ’80, ma una loro versione nascosta, indistinguibili dagli umani, celati nelle pieghe della società e la loro guerra era una guerra terroristica. Questo è un esempio, ma ne potremmo fare milioni. Per tantissimo tempo, con una dilatazione enorme di tempi narrativi, sul concetto di terrorismo non ci sono stati dubbi o ripensamenti.
Il terrorista (skrull) buono è il terrorista morto. Punto. Fino ad arrivare al parossismo di cancellare da ogni programmazione Rambo III. Quel tipo di concetto, muscolare, privo di dubbi, marcatamente western, era già presente nelle narrazioni precedenti all’11 settembre, un esempio su tutti il polpettone militar/reazionario/fascio fino al midollo noto come: “Regole d’onore” (Rules of Engagement) uscito nel 2000, con un insospettabile William Friedkin alla regia, e le marionette Tommy Lee Jones e Samuel L. Jackson davanti alla cinepresa.
DA QUI, SPOILER
I tempi cambiano però, così come cambiano la morale e le istanze del pubblico e degli autori. Captain Marvel è una supereroina da calare nel contesto storico della riconciliazione, dell’abbandono totale del terrorismo alla Bush. Sulle ceneri dell’11 settembre rinasce un immaginario collettivo dove siamo tutti vittime, dove la verità non è stata mai raccontata fino in fondo, come già disse Michael Moore in Fahrenheit 11/9.
Quindi, la minaccia terroristica skrull non è più un concetto granitico. Lo switch conclamato, dove i cattivi sono i buoni e i buoni sono i cattivi è fottutamente contemporaneo. Arriva in modo diretto dall’immaginario collettivo attuale ed è raccontato in modo maiuscolo e molto preciso.
Attenzione, perchè, dal mio punto di vista, si parte dal dire che gli skrull sono buoni, e si arriva a dire che la terra è piatta e i vaccini causano l’autismo.
Ma io sono estremista e anche un po’ stronzo. Chiedo cautela nel maneggiare le dinamiche dell’immaginario, soprattutto quando non viene sollevato nemmeno un piccolissimo dubbio. Avvenuto lo switch, tutto fila come “nella norma”, senza sfumature, viaggiando in modo monolitico. Cambia la bandiera, ma non il modo in cui la bandiera viene venerata dal popolo, e questo è molto pericoloso. Soprattutto se si ha un po’ di anarchia nell’anima.
Arriva il momento di girare Captain Marvel e siamo nel pieno dell’era del #metoo, del mostro di Weinstein, o del presidente della nazione più potente del mondo che ridendo dichiara: Grab ‘em by the pussy.
Captain Marvel è una supereroina da calare in un contesto storico dove chiedere il numero di telefono a una ragazza è passabile di molestia.
EDIT: Questa non è una boutade.
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Corrono in aiuto Anna Boden e Ryan Fleck, registi e sceneggiatori. Californiani, non a caso. Nati e cresciuti in quella Berkeley tanto progressista quanto piena di regole di comportamento e di buone maniere contemporanee. A loro si affiancano Geneva Robertson-Dworet, Jac Schaeffer alla sceneggiatura. Sfornano un prodotto perfetto, grandioso per i tempi corretti in cui viviamo. Riescono però a fare il giro su loro stessi, partendo dal progressista e arrivando all’ultra ortodosso/reazionario.
Captain Marvel, eroina donna, viene completamente privata di una qualsiasi forma di sessualità. Attenzione! Non sensualità, dico proprio: sessualità. È una creatura a forma di donna, senza però alcuna connotazione di genere. Non gli viene concesso nemmeno il lusso della procreazione, regalato alla sua migliore amica, una nera. E scusami, ma la connotazione colored non può essere un caso.
Questa creature a forma di femmina, ma che della femminilità non ha nulla, non diventa nemmeno una versione mariana di Superman. Il Superman di Snyder è cristologico come un quadro della storia dell’arte cristiana, su Captain Marvel viene fatto di tutto a livello iconografico per allontanare ogni tipo di paragone visivo.
Si arriva alla dis-umanizzazione completa attraverso un look semi punk con fuochi d’artificio.
Il gineceo al comando del film è genuinamente convinto di aver fatto un film per il pubblico femminile, e in parte è così. L’essere donna però, è vissuto in modo completamente all’opposto rispetto, per esempio, all’estrema forza di Katniss Everdeen in Hunger Games. In quel caso non si rinuncia alla caratterizzazione femminea a discapito dell’eroismo. In sostanza, se al posto di Captain Marvel ci metti un ragazzino, un alieno rosa a righe o un carlino, il risultato in termini di caratterizzazione del personaggio non cambia.
Eppure ti diranno che è un film al femminile, ti diranno che è la versione uterina del film muscolare e spaccone per maschi. Non è affatto così. È una narrazione edulcorata, politicamente correttissima, priva di corpo fisico, priva delle meraviglie interiori del mondo delle donne. È come un film buddy movie diretto da Michael Bay senza maschi sudati con i pettorali fuori che corrono al ralenty mentre alle loro spalle il mondo esplode.
Tutto non si può ridurre sempre e soltanto alla superficie, altrimenti saremmo tutti Youtuber o Instagrammer. Non bastano una sequela di battute tra lei e Nick Fury per fare l’equivalente femminile di un film tamarro per maschi.
Eppure, se non ci si sofferma troppo a fare i conti narrativi, la visione del film è gradevole, ed è disneyanamente ovvio che sia divertente.
Ma la domanda che mi faccio io, da uomo, è la seguente:
Quindi, nel mondo del politicamente corretto a stelle e strisce, l’unico modo che ho per essere accettata come donna è di rinunciare alla mia essenza femminile e attenermi soltanto a una forma esteriore?
Davvero?
È questa la soluzione?
Cazzo, un paio di mesi fa ho visto le principesse Disney avere a che fare con Vanellope von Schweetz, in Ralph Spacca Internet. Un altro prodotto Disney, dove però la figura femminile era raccontata a tutto tondo, sia nella forma che e nei contenuti.
Possibile che nel MCU non sia possibile farlo?
Ed ecco che arriva il paradosso, per tutte queste domande e le riflessioni qui sopra, il film mi è piaciuto tantissimo. Sarebbe bello vivere in un mondo dove aggiungere: seguirà dibattito.
Ma non seguirà, non è più di moda parlare di cinema in questo modo.
Infatti ho un blog e non un canale Youtube.
In effetti a rivedere tutta la traiettoria vengono le vertigini:
- ah il mostro è tra noi! (ci odiano)
- epperò i segreti! le verità parziali! le cose che non capisco! (ci odia anche chi dovrebbe proteggere)
- sai che ti dico? i mostri siamo noi! (mi odio)
- mah, in verità io sono uno sfigato, i mostri siete voi! (che mi opprimete costringendomi nella sfiga) (vi odio)
- non voglio essere sfigato, voglio essere amato! allora sarò simpatico!, ironico!, oppure cinico! uno controcorrente! ecco, sarò cool! (amatemi)
- sono così cool che non oso dire o fare nulla che possa scalfire la mia coolness. Sarò innocuo, ma in modo cool! (non smettete mai di amarmi, vi prego)
Il tutto nell’arco di quindici anni.
Maledetto Internet gratis!