Il Segno del comando (RaiPlay)

“Il segno del comando” va in onda la prima volta sulla Rai nel 1971, da maggio a giugno. A quei tempi le serie televisive non si chiamavano ancora serie e non si chiamavano nemmeno telefilm. Si chiamavano: sceneggiati.
Cinque puntate da un’ora, in origine trasmesse una alla settimana, per quello che è stato, di fatto, l’equivalente di “Lost” per i boomer.
Chi era adulto a quel tempo ne ha ancora una traccia fortissima nella memoria. “Il segno del comando” ha segnato in modo radicale non solo l’immaginario collettivo di quella generazione, ma anche la storia stessa della televisione italiana.
Su Rai Play sono disponibili tutte e cinque le puntate on demand, così possiamo fare quella cosa che non venne concessa ai nostri genitori o ai nostri nonni, vedercele tutte e cinque di fila.
Guardare la serie oggi significa accettare alcune ingenuità, una recitazione un po’ ingessata e una lentezza insistita nell’esposizione degli eventi, ma rimane comunque una narrazione di lusso, anche non tenendo conto del suo contesto storico. Ha ancora molto da insegnare a diversi prodotti contemporanei. Soprattutto il suo soggetto di serie, se fosse disponibile da qualche parte, dovrebbe essere usato come esempio da seguire per la stesura di un plot orizzontale. Siamo di fronte a un prodotto narrativo che non si affida agli effetti speciali o ai metatesti, ma punta tutto sulla storia, sull’intreccio, focalizza tutta la sua forza su ciò che lo spettatore non sa e che vuole scoprire attraverso il viaggio di Forster.
Un mistery sovrannaturale, sostenuto, ai nostri occhi contemporanei, da un bianco e nero che rende davvero inquietanti alcune sequenze. Su tutta la serie domina un’atmosfera di attesa e sospensione. Si va a scalfire, poco alla volta, molto poco alla volta, un disegno complessivo celato tra simboli di gufi e candele, tra un’espressione attonita di Ugo Pagliai e l’appeal di Carla Garvina.
Non ci sono scene esplicite, come è ovvio che sia, ma colpisce il non sottrarsi all’allusione, al suggerire, al sottointendere una componente erotica. Una carnalità sottotraccia destinata a scomparire in quel tipo di produzione da rete ammiraglia.
Ideato da Flaminio Bollini e Dante Guardamagna, per la regia di Daniele D’Anza, “Il segno del comando” porta per la prima volta in televisione tematiche legate all’occulto, al racconto gotico in contesto urbano. Fantasmi, reincarnazioni, sedute spiritiche, il tutto esposto allo spettatore utilizzando uno stile maturo, narrazione da adulti, senza sconti o strizzatine d’occhio. Crea una tensione palpabile, minuto dopo minuto, ed è quantomeno bizzarro trovare un contenuto di quel tipo nella Rai dei primi anni ’70, e lo è ancora di più non trovarlo poi nella Rai dei decenni successivi.
Forse l’assenza di inserti pubblicitari ha favorito la trasmissione di un contenuto ansiogeno, ma non sta a me dirlo. Quello che è certo è che “il segno del comando” è indicato da tutti i critici come il capolavoro assoluto dell’era degli sceneggiati. Una vetta televisiva che ha segnato il suo tempo, facendo da spartiacque e da modello per le narrazioni venute dopo, soprattutto cinematografiche.
Il concept del protagonista (straniero o meno) che si ritrova in un luogo per lui e per noi distante, e nella sua alienazione al contesto viene costretto dagli eventi o dalla sua stessa curiosità a indagare sui misteri legati all’ambiente è stato ripreso diverse volte. Da “Profondo Rosso” di Dario Argento del 1975 a “La casa dalle finestre che ridono” di Pupi Avati del 1976, e mille altri film successivi.
Il successo de “il segno del comando”, la sua penetrazione nell’immaginario collettivo del periodo e il suo ruolo nell’iconografia mainstream, ha influenzato tantissimo il thriller e l’horror all’italiana degli anni successivi. Ha messo un tassello molto importante nella costruzione della narrazione di genere e nella cultura pop. In un periodo, tra l’altro, dove il genere era malvisto e snobbato dalla critica colta.
Merita una visione anche soltanto per questo motivo.

 

 

 

 

2 thoughts on “Il Segno del comando (RaiPlay)

  1. Non manca nella mia videoteca, ovviamente.
    Sceneggiato sopraffino che sì, forse si perde in qualche scena troppo lunga ma ha il ritmo e il sapore di altri tempi.
    Costruzione del mistero particolare e avvolgente, un po’ come quella livida da ghost-story di Luigi Bazzoni.
    Non nego che oggi, con un remake adeguato (meglio di quello mediasettiano di qualche tempo fa), potrebbe funzionare.
    La tradizione moderna, comunque, continuò con l’altrettanto esoterico e altrettanto ottimo Voci Notturne… 🙂

    Moz-

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *