Tutto quello che volevo dirti su Mexican Standoff, ma non ci vedevo una mazza e scrivere era un casino.
1 luglio 2013 • By Diego CajelliQui sopra, uno dei tanti tormenti che un umile sceneggiatore deve subire quando condivide lo studio con dei simpaticissimi disegnatori, tra cui il Kota, autore di questa cover alternativa.
Alcune cose a proposito di Mexican Standoff te le ho già dette, ci sono un paio di post, li trovi cliccando qui.
Non è una storia classica. Non è una storia semplice. Non è una storia scritta per piacere a tutti tutti.
In effetti, non essendo classica, non è piaciuta ai lettori amanti del classico, mentre lettori più avvezzi ad altri tipologie di fumetto l’hanno apprezzata di più.
Il mio intento primario era quello di non scrivere una storia che scivolasse via, non mi andava di fare il compitino, volevo sperimentare e tentare qualcosa di diverso. La spaccatura nel pubblico me la sono andata a cercare. Mexican Standoff o ti piace, oppure ti fa schifissimo. Niente placide e rassicuranti vie di mezzo.
Il tutto perché, sempre dal mio punto di vista, un lettore amante del classico, oggi, ha soltanto l’imbarazzo della scelta per soddisfare il suo bisogno di classicità e di linguaggi rodati e confortevoli. Dalle varie ristampe dei grandi, eterni, vecchi fumetti dei bei tempi che furono, fino a produzioni contemporanee che ripropongono, con modifiche minime, quella tipologia di linguaggio narrativo.
Non ultimo, per esempio, il Grande Blek riproposto dal Sole 24 ore.
Non sono un grande amante dell’effetto nostalgia. Di solito non compro un fumetto per tentare di risentirmi emotivamente come mi sentivo da ragazzino e leggevo per la prima volta quel fumetto lì.
Perché il punto è quello. La rievocazione di un ricordo, di un sentimento perduto, il rivedersi come si era quando, quella ristampa, era un inedito. È un processo editoriale legittimo, giusto, ma non può essere l’unico.
Con Mexican Standoff ho voluto lavorare su parecchi punti e consuetudini narrative. I più evidenti sono la commistione tra generi, l’assenza di “momento spiegotto” e la collocazione dei colpi di scena in momenti diversi dallo standard abituale.
Colpi di scena. È prassi, nel fumetto e nelle narrazioni formulaiche, usarne tre. Uno alla fine di ogni atto. Nei fumetti posso dirti con certezza che, se vengono scritti seguendo “la norma”, ci sarà un colpo di scena attorno a pagina 30, un altro più o meno a pagina 60, e l’ultimo sul finale. Nel caso di narrazioni fumettose più cool, puoi trovarne un quarto, nelle ultimissime pagine, che contraddice il terzo colpo di scena creando tecnicamente quello che si chiama twist.
In Mexican Standoff li ho spostati, e li ho messi tutti e tre uno in fila all’altro nella sequenza finale. Questo ha spiazzato e incasinato di brutto i lettori. Semplicemente, ho spostato i colpi di scena dove di solito non ci sono.
Assenza “Spiegotto”. Spiegarti tutto quanto in modo pedissequo, per tre volte, in tre modi diversi, non è obbligatorio. Così come non è obbligatorio essere didattici.
Come dicevo nell’altro post, il punto di partenza è: quello che dovevi sapere te lo ha già spiegato qualcun altro in altre narrazioni. Ed è una scelta. Una mia scelta precisa. L’ho evidenziata nei momenti un cui, classicamente, doveva esserci il momento spiegotto, ma non c’è stato. Quando? Tutte le volte che Reyes inizia a raccontare qualcosa e Cipriano dice: no, fa niente, non mi interessa, andiamo avanti.
Qualcuno ha detto che la storia non si capisce. Posizione legittima, ma va contestualizzata, perché non è vero che non si capisce in termini assoluti, daro che per qualcun altro la storia è stata chiara e comprensibile.
La frase quindi, va riformulata in: io non l’ho capita.
L’unica risposta possibile è pazienza, non si può capire tutto, lo capirai un domani, oppure no.
Commistione tra generi. Chi ha apprezzato il volume ha evidenziato subito il problema che mi ero posto in fase di scrittura. Senza alieni, sarebbe stata la solita, già vista, magari buona, tarantinata.
È proprio l’alternanza di generi che rende la storia quello che è, non un qualcosa di già visto, già sentito, rassicurante e noto.
Si muove per archetipi puri, ma sulla la loro commistione che mi interessava lavorare.
E comunque sì, sono arrivato un po’ lungo. Dieci pagine in più mi avrebbero fatto comodo.
Sul forum di Comicus, segnalo una discussione molto interessante, dove uno dei partecipanti mi ha letteralmente messo a nudo, cogliendo tutti gli aspetti narrativi di cui sopra. Clicca qui.
Così come segnalo anche una discussione sul forum di Zagor, dove sono intervenuto per spiegare la mia posizione. Clicca qui.
Chiudo linkando un paio di recensioni:
Manga Forever
La Barba Quotidiana
I droidi che stiamo cercando.
Lasciate spazio ai sognatori.
E Matteo Cremona?
Matteo merita un applauso. Mi alzo in piedi e faccio clap clap clap clap, per quello che secondo me è uno degli esordi bonelliani migliori di sempre.
Messico e nuvole, con alieni e quintali di piombo.
22 maggio 2013 • By Diego CajelliMexican Standoff, ovvero: Stallo Alla Messicana. Quella particolare situazione in cui due o più persone si tengono sotto tiro a vicenda, con pistole spianate e il dito sul grilletto. E rimangono lì, in attesa. In stallo, per l’appunto.
Prendi questo concetto, amplificalo, e hai più o meno la mia idea di partenza per il numero 9 della collana Le Storie, in edicola a giugno.
Avevo già detto delle cose a riguardo, le puoi leggere cliccando qui.
Ho letto l’albo per la mia revisione finale, e la prima cosa che mi ha colpito sono i disegni splendidi di Matteo Cremona. Sono davvero molto orgoglioso di accompagnare Matteo nel suo esordio bonelliano. Non che avesse bisogno di me, i suoi disegni sono il miglior biglietto da visita possibile, e mi ritengo molto fortunato ad aver potuto lavorare con lui.
Succedono davvero parecchie cose in quell’albo. Non voglio dire troppo per non rovinare la lettura, ma da un punto di vista tecnico è una delle sceneggiature più complesse che ho scritto.
Da cosa si capisce?
Dalla semplicità di lettura.
Vecchio cruccio di noi dinosauri della scrittura di genere. Vedi, noi siamo convinti che più complesso sia il lavoro che facciamo in background, più scorrevole e apparentemente facile sia il rapporto del lettore con il prodotto finale. In Mexican Standoff, al di là delle cose divertenti (per me) e delle mie passioni da tamarro, c’è un lavoro sui pesi narrativi, sui ritmi e sulla gestione pura della narrazione generale.
Lo dico, faccio prima, perché non se ne accorgerà nessuno. Come è giusto che sia.
Sono soddisfatto del lavoro finale?
Fino a un certo punto.
Confesso. Ho un grande rammarico nei confronti di questo albo. Mi dispiace, tanto, che Sergio non abbia fatto in tempo a leggerlo. Mi dispiace che non abbia potuto leggere qualcosa di interamente mio. Di sicuro non gli sarebbe piaciuto, ma fa niente.
Ci tenevo lo stesso.
Lo so che giugno è lontano, e che fuori fa ancora freddo, ma visto che è stata diffusa in anteprima la cover dell’albo realizzato dal sottoscritto e dallo stratosferico Matteo Cremona, è bene aggiungere un paio di notizie in più.
Anche perché, stando a quanto ho letto in un paio di forum, c’è un piccolo equivoco sull’intera operazione editoriale. Per dirla all’inglese, c’è un misunderstanding alla base, ma è una roba che si risolve al volo. Ecco qua:
Il titolo della collana è “Le storie”, non “LA storia”. Per cui, non è detto, non è obbligatorio, non è preponderante che in ogni albo ci sia la ricostruzione storica di un evento reale del passato.
Non siamo su History Channel.
Detto questo, veniamo alla splendida copertina del maestro Aldo Di Gennaro che puoi ammirare qui sopra.
Uno mi ha detto:
- Spoilera troppo!
E di nuovo ti dico no. Non è così.
Mexican Standoff è una storia post-ufologica.
Che cosa vuol dire?
Significa che oggi, nel 2013, tutto quello che ti serviva sapere sugli alieni, sui rapimenti, sul coinvolgimento dell’esercito, sul patto scellerato, su varie ed eventuali, tu lo sai già.
Gli alieni e le abduction non possono, in termini di narrazione contemporanea, essere considerati dei colpi di scena o i nodi centrali di una trama.
Una storia non può reggersi interamente su delle cose che possono spiegarti Daniele Bossari e Raz Degan.
Non per un lettore di oggi. Non dopo ottantordicimila serie televisive, serie a fumetti, documentari, Giacobbi, Misteri, articoli, siti ufologico/cospirazionisti, questo e quant’altro.
Certo, se vivi in una grotta insonorizzata, e fino a ieri hai letto soltanto le pitture rupestri, è probabile che tu non ne sappia niente. (Ma forse no, dipende dalla grotta, se sei rimasto ad Ancient Arrow ne saprai anche più di me.)
Fatto sta che ho deciso di prendermi un rischio. Non ho scritto un piccolo compendio sull’ufologia e sui rapimenti, non mi interessava farlo. Non mi divertiva.
Me ne assumo tutte le colpe eventuali, e ringrazio tantissimo Marcheselli per l’opportunità che mi ha dato.
Quindi: ho preferito scrivere una storia dove la componente ufologica è parte del contesto in cui si svolgono altri eventi. In un certo senso sfrutto. Sfrutto lo splendido lavoro di “didattica ufologica” che è stato fatto prima e meglio di quanto avrei potuto farlo io. I nomi sono tanti. Dal BVZM a Invisibles, da The Secret a X Files, passando per Enigmi Alieni, Roswell, la trilogia di Wilson e Shea e i libri di Mack.
Sfrutto. Partiamo dal presupposto che tutte quelle cose già le sai, anche solo per sentito dire e andiamo avanti. Andiamo avanti narrativamente.
In questa storia si parla delle conseguenze. Si parte dal contesto normale, semplice, ordinario, quotidiano dei narcotrafficanti messicani, sul quale si inserisce tutto il cucuzzaro ufologico/cospirazionista.
Un titolo alternativo poteva essere: Il Cartello di Sinaloa sfida Marte. Ma è meglio Mexican Standoff.
A giugno capirai il perché.
Succosa anteprima!
Ecco qui alcune vignette realizzate da Matteo Cremona con le sue capaci manine.
Di cosa si tratta?
Della nostra storia per “Le Storie”, la nuova collana bonelliana di storie mensili autoconclusive. O di One Shot come dicono gli ammeregani.
Ne avevo già parlato secoli fa, in questo post qui.
Fatto sta che ormai siamo in dirittura d’arrivo con 110 tavole di tamarria pura.
Il titolo provvisorio è “Mexican Standoff”, ma quasi sicuramente troveremo un titolo migliore.
Come si intuisce già da queste vignette sarà una storia intimista, basata su vicende reali e assolutamente realistiche, pregna di struggimenti emotivi e votata all’analisi dialettica dei triboli dello spirito umano.
Oppure no.
Oppure è la storia di Reyes e del suo amico Cipriano che devono scatenare l’inferno in Terra.
E’ la prima volta che io Matteo lavoriamo assieme. Sapevo che era bravo, ma non avevo ben chiaro quanto fosse bravo.
Il nostro “Le Storie” dovrebbe essere, se tutto va bene, il numero 8.
Aggiornerò sugli sviluppi.
Nel frattempo…
Hasta luego, amigo!