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Scrittura Creativa

Cinema, Fumetto, Racconti, Sceneggiature, Scrittura, Televisione, Tutto Il Resto

Nel frattempo, un cortometraggio!

17 giugno 2013 • By

Eccomi!
La vista recupera piuttosto bene, e sto tornando alla mia normale attività schermo-tastieristica.
Quella qui sopra è la locandina di un cortometraggio che ho scritto un po’ di tempo fa.
Parte tutto da una mia vera paranoia che mi prende quando guido di notte. L’immaginare di vedere un omino nudo giulivo che corre attraversando la strada al limitare dell’illuminazione dei miei fari.
Ne è uscito un corto di animazione davvero carino.
Eccolo qua:

http://youtu.be/AuUQFAu-Eg4

Finisco di sistemare i settaggi dell’occhio destro, e poi parto con aggiornamenti a nastro per farmi perdonare della mia assenza!


Cinema, Scrittura

Iron Man 3!

26 aprile 2013 • By

Occhio.
Spoiler.

Credo sia arrivato il momento di rivedere i parametri critici con cui guardo un film.
Il momento storico lo richiede. Il post post post modernismo lo richiede.
Non ultimo, lo richiede anche il mio cervello, sennò si inchioda.
Tutto questo lo dico senza accezioni negative, sia chiaro. Lo dico perché oggi, nel 2013, sento il bisogno riformulare i percorsi di analisi che mi portano, in estrema sintesi, a dire se un film mi è piaciuto oppure no.
Oggi, nel mio pentolone, c’è troppa roba di cui devo tener conto per formulare quel sì oppure quel no. Anche circoscrivendo ogni cosa all’interno di un preciso momento storico, senza lanciare ipertesti, metatesti, e senza sconfinare su altre discipline e materie. Il materiale immaginifico, narrativo, culturale è sterminato, paradossale, immenso. Sento la necessità di avere dei limiti. Precisi e inviolabili.
Per dare la mia opinione su Iron Man 3 mi servono dei confini temporali, culturali, mediatici, storici e narrativi. Altrimenti è un casino. Altrimenti il mio cervello si inchioda.
Mi è piaciuto Iron Man 3?
Tutto dipende dai presupposti su cui baso la mia analisi.
L’elemento che in assoluto mi è piaciuto di meno è l’assenza degli Ac/Dc e dei Black Sabbath nella colonna sonora. Una cosa piccola in verità, che però mi costringe e porre un altro steccato nel recinto della mia opinione.
Su Iron Man 3 ci hanno lavorato più o meno mille persone, stando ai titoli di coda, per cui non può, se non altro per una questione legata ai grandi numeri, essere un brutto film.
Infatti non è un brutto film.
Non è per niente un brutto film, ma…
Anzi, non “ma”, userò il “se” trasformandomi in un Rudyard Kipling di periferia,
Se.
Se per te è una novità il fatto che il cinema americano metabolizzi e racconti la propria storia attraverso le strutture della narrazione di genere, trasformando, spettacolarizzando, a volte travisando i fatti… Se questo fattore storico/immaginario a stelle e strisce per te è inedito, o comunque non hai ancora notato, in tutti i sistemi di narrazione utilizzabili, quanto e come gli accadimenti dell’11 Settembre 2001 abbiano influenzato in modo radicale la costruzione narrativa del villain e dei suoi loschi piani… Iron Man 3 è una strafigata.
Se.
Se i ritmi narrativi, le dinamiche psicologiche dei personaggi, sono elementi che non influenzano in alcun modo il tuo giudizio, e se, non fai distinzioni tra l’uso della voce narrante come flusso di pensiero attivo o come riassunto dialettico… Iron Man 3 è figo da morire.
Se.
Se non conosci il lavoro di Shane Black, oppure se consideri la sua cifra stilistica come un canone narrativo a sé stante, che vale soltanto per la pellicola che stai guardando, senza fare alcun rimando a ciò che ha fatto in passato… Iron Man 3 è proprio una bomba.
Se.
Se non hai voglia di farti menate, se proprio non hai tempo per ricevere alcun frammento di riflessione, direi post-azimoviana, sull’ utilizzo e lo sfruttamento delle intelligenze artificiali, la filosofia e la morale meccanica, le distinzioni tra armature e identità robotica, se un “oggetto” non deve avere alcuna possibilità di diventare “soggetto”… Iron Man 3 è bellissimissimo.
Se. Dove ogni se è un palo su cui fissare il recinto della mia opinione. Quindi…
Se guardi Iron Man 3 come “3”, e non come un prodotto narrativo autosufficiente, e lo metti tu in continuity con The Avengers e con l’universo cinematografico Marvel, se lo consideri un brand, con tutto quello che ne consegue, Iron Man 3 è favoloso.
Mi è piaciuto?
Sì, un casino.
Se circoscrivo.
Iron Man 3 è un ottimo action movie, dove, novità delle novità, i sidekick possono essere massacrati, sacrificati, fatti esplodere, usati e rottamati senza pietà e senza remore.
È un Arma Letale Meccanica, con dei bellissimi momenti, uno straordinario Robert Downey Jr, e delle assenze ingombranti.
Parentesi molto personale:
L’idea alla base del Mandarino è pressoché identica a quella di un mio fumetto pubblicato su Lanciostory nel 2008. Ai tempi uscì anche un’ottima recensione di Vincenzo Oliva (grazie ancora) la puoi leggere cliccando qui.
Il mio Mandarino si chiamava Zeus Caligola e faceva piovere delle distruttive sfere d’acciaio attraverso delle nuvole teleportanti. A parte questo, e un mio finale molto più negativo, il concept narrativo è il medesimo. (Direi anche il character design, ma sono in trasferta e non ho gli albi per controllare)
Se fossi un loser senza speranze starei qui a vaneggiare di avvocati e cause, struggendomi e menandomela fino alla fine dei miei giorni. Invece, nel pieno del quanto-me-la-meno, mi sto rotolando nella soddisfazione di avere delle buone idee.
Certo, le mie idee non diventano dei film con Robert Downey Jr, ma è solo un dettaglio.

 


Dampyr, Fumetto

Dampyr nella Zona Rossa.

4 febbraio 2013 • By
dam0155

In edicola c’è un Dampyr scritto da me e disegnato dal dinamico Fabrizio Russo.
Un numero importante, complicato e complesso per diverse ragioni. La storia si svolge in una location molto particolare: L’Aquila. L’ambientazione italiana, cosa rara per il fumetto popolare da edicola, si intreccia con un tema d’attualità, elemento altrettanto raro per il fumetto popolare da edicola: si parla del terremoto, della ricostruzione, di varie ed eventuali.
Lo dico subito: non siamo nel campo del giornalismo a fumetti o delle graphic novel. Questo numero di Dampyr è una storia di genere, un horror, ambientato e collocato in un contesto reale.
L’impianto narrativo è basato sulla finzione, sulle tematiche della serie, non è la storia del terremoto o il riassunto in vignette di quanto è accaduto da quelle parti.
(Non è vero, c’è la visualizzazione del terremoto. Però è raccontato attraverso un espediente narrativo e non con una didascalia, o peggio: con una lezioncina.)
E’ una storia ambientata a L’Aquila, dove il folklore locale, i miti horror e i misteri della tradizione abruzzese si allacciano con il terremoto e si intrecciano con l’universo narrativo di Dampyr, dei suoi protagonisti, dei suoi antagonisti, infilandosi nella macrotrama della serie. Una robina complessa a dire il vero, se uno inizia a leggere Dampyr da quel numero lì, ma sono cose che si risolvono.
A scanso di equivoci lo dico subito: se questa storia è arrivata in edicola è tutto merito di Mauro Boselli, creatore del personaggio e curatore della testata. E’ stato lui a suggerirmi l’ambientazione, a dirmi di scrivere senza tirare il freno a mano delle critiche. Ha creduto tantissimo in questa storia, al punto di andare di persona a L’Aquila per scattare le foto che abbiamo usato come documentazione. Perchè sì, abbiamo il pallino della documentazione su Dampyr.
Fabrizio Russo ha affrontato un dossier fotografico tanto preciso quanto vasto. In parte formato dalle foto scattate sul posto da Boselli, con in aggiunta i giga di foto che ho scaricato io da internet.
L’aderenza alla realtà si è dimostrata un’arma a doppio taglio. Prima di mandare in stampa l’albo, Fabrizio ha dovuto correggere alcune vignette. Durante la lavorazione del fumetto infatti, alcuni palazzi erano stati sistemati e i disegni andavano aggiornati. (Quanto ci abbiamo messo? Più o meno abbiamo iniziato a lavorarci un anno fa.)
La documentazione è un impegno necessario, fondamentale per creare il giusto patto di complicità con il lettore e alimentare il senso di verosimiglianza tra realtà e opera di finzione.
I personaggi si muovono in un contesto reale e realistico, luoghi riconoscibili, ambienti noti, posti che puoi vedere sul serio. Mettere tutti questi elementi in un fumetto, in modo coerente, è un lavoro molto difficile, ma dal mio punto di vista viene ripagato dalla reazione positiva degli aquilani.
Ambientare le storie in Italia è un mio pallino, infatti la mia serie di prossima uscita Long Wei l’ho ambientata proprio a Milano, nella zona di via Paolo Sarpi. Vedremo quali saranno le reazioni dei miei concittadini quando ucirà il primo numero a marzo.
(Se sei qui per Dampyr, ma vuoi saperne di più su Long Wei, clicca qui che c’è tutto quello che ti serve sapere)
L’attenzione dei media locali su questo numero di Dampyr è altissima. Pare che il numero sia in rapido esaurimento, e in questi giorni in rete se ne sta parlando un sacco.
Riassunto di link! Clicca sui collegamenti!
Un lancio dell’ANSA, poi questo articolo qui, qui eccone un altro, poi anche questo qui, senza dimenticarsi di questo, poi ci mettiamo anche questo qui, e per ultimo l’Intervista al sottoscritto, Per ora è tutto. Poi vedremo.
Mi diverte leggere l’elenco dei posti visitati da Harlan e Kurjak. E mi immagino, per dire, il negozietto di souvenir che appenderà la tavola dove Kurjak va a comprarsi lì la maglietta.
Poi ci sono le cose che hanno sorpreso me, mentre studiavo per scrivere questa storia.
Una su tutte: il mito dei “ritornanti” di Tornimparte, ridente località di provincia dove, si dice, può capitare che qualcuno torni-in-parte dal mondo dei defunti. Senza dimenticare il complesso e articolato intreccio tra L’Aquila, Gerusalemme e i Cavalieri Templari. Credo di essere riuscito a usare un decimo del materiale che ho raccolto.
Magari lo mando a Dan Brown, che quelle cose gli piacciono.


TaxiD453
Fumetto, il circolino del fumetto assassino, Tutto Il Resto

Politica, virale, parodie e rivoluzioni.

17 gennaio 2013 • By

Questo post non servirà a niente.
E’ troppo lungo, lo leggeranno tutto in un paio di persone e lo capiranno in pochi.
E’ un post che non serve, ma che scrivo ugualmente perchè è utile a me, per fare un punto della situazione. Mi serve come promemoria, per ricordarmi di tutta la faccenda su Ingroia, si allaccia a questo post qui, a quest’altro e a tutta la discussione su Facebook avvenuta ieri.
In questo momento specifico non ci sono i termini per ragionare. E’ il momento del tifo, del rigiramento delle frittate, dell’attaccarsi all’attaccabile pur di difendere l’indifendibile. E’ il momento, triste, in cui ambienti politici, testate giornalistiche, amici, colleghi, che reputavo vicini si stanno comportando come, se non peggio, dei loschi figuri che criticano e attaccano da sempre.
Ecco perchè questo post non servirà a niente. Non si ragiona, non si discute, non ci si confronta con gli ultras accecati dal sacro fuoco di ‘sta ceppa.
Questo post è diviso in due capitoli.
Il primo è sulle mie riflessioni personali. Roba mia, puoi saltarlo se non ti interessa.
Il secondo è una lezione gratis di tecniche di comunicazione e utilizzo dei sistemi narrativi.
Di solito vengo pagato per spiegarti quelle cose, oggi ti faccio lezione gratis. Spero che qualche giornalista possa trarne vantaggio, in modo da non usare più termini e concetti alla cazzo, piegandoli a seconda di come gli conviene.

RIFLESSIONI PERSONALI.
La mia formazione politica avviene negli ambienti anarchici milanesi degli anni ’90.
Arrivo da lì. Ho passato i miei vent’anni tra assemblee, collettivi, occupazioni, rivolte, controinformazioni, uscire dal ghetto e rompere la gabbia.
Poi, mi sono accorto che a furia di spazi alternativi, realtà mutanti e parallele, eravamo noi che ci costruivamo quella gabbia. Stavamo perdendo il contatto con il sociale, quello reale, quello che c’era fuori. Che va bene l’autonomia, ma l’isolazionismo era un po’ troppo.
Mi sono spostato a sinistra. Sono stato attivista di Rifondazione, ho comprato interi bancali di Lotta Comunista, ho partecipato, contribuito, mi sono mosso in gioco in prima persona, ho organizzato, militato, creato, e usato il mio lavoro e il mio talento per la causa.
Sono stato sullo stesso palco con Cofferati e Gino Strada. Qualcuno dirà: privilegiato! Io rispondo: no, sono stato capace di farlo. E’ diverso.
Ho detto la mia dai microfoni di Radio Popolare, mi sono sbattuto come non mai. Ho partecipato ad assemblee e discussioni dove la componente ideologica era così pura ed elevata che faticavo a capirne l’applicazione pratica. Ideologia. Pura. Utopica, supportata da una dialettica talmente alta e complessa da risultare incomprensibile per quel quarto stato che marcia verso il sol dell’avvenire.
Cercavo di capire, capivo in parte, applicavo in parte.
Poi, anche lì, mi sono reso conto che la componente ideologica, invece di liberare l’individuo, ne comprometteva ogni azione possibile, a partire dal caffè che bisogna bere, per arrivare al tipo di lavoro che bisogna accettare.
Anche in quel caso non si stava portando l’ideologia verso l’esterno, condividendola. No. Si stavano creando degli spazi di vita paralleli, all’interno di confini precisi dove quel piano ideologico era condiviso. Per stare sul sicuro.
Quello ha segnato la fine del mio attivismo e del mio impegno politico diretto. Mi sono ritirato nel mio eremo, a farmi i cazzi miei.
Ho letto le cose che scrivono i supporter di Ingroia sulla loro pagina Facebook. Sai che c’è?
Vent’anno di berlusconismo gli ha fottuto il cervello e non lo sanno neppure. Sono fascisti. Scrivono e si comportano da fascisti, senza saperlo, convinti di non esserlo, ed è una cosa agghiacciante.
Ho visto le reazioni di Liberazione e degli altri organi a sinistra, in merito alla faccenda della campagna a fumetti.
Certi giochi delle tre carte dialettiche me le aspettavo da Sallusti, non da voi.
Sono pervaso da un’amarezza profonda e glaciale. Mi viene quasi da votare sul serio Berlusconi, almeno lui non mi deluderà, perchè so che cosa aspettarmi da lui e dai suoi accoliti.
Ieri ho visto amici, colleghi, persone che stimo, prendere questa questione e rivoltarla come un calzino, andando a caccia di pagliuzze negli occhi altrui, mettendo in bocca agli altri parole che non hanno mai detto, buttarla in caciara, roba da far apparire Fede e la Biancofiore come dei dilettanti.
L’apoteosi finale: L’attacco alla Bonelli.

CAPITOLO TECNICO: PARODIE, FAKE, VIRALITA’.
Questo capitolo non lo capiranno soltanto quelli che non lo vogliono capire. Possiamo dire pazienza e vaffanculo?
E’ ora di finirla di parlare di cose che non si conoscono, usando termini e parole così per come vengono. Usate dei mezzi di comunicazione, senza conoscere quello che maneggiate.
La campagna a fumetti è una campagna virale.
Palle.
Per virale si intende un contenuto che viene diffuso come un virus, dove il messaggio e il committente non sono rappresentati subito in modo esplicito e diretto.
Ora: se per virale tu intendi una campagna organizzata in modo non ufficiale, non sai di che cosa stai parlando e usi le parole a minchia.
Una delle prime campagne virali che ho visto fu quella organizzata per il musical Cats. Nei mesi precedenti al debutto sui muri delle città apparvero degli occhi di gatto, realizzati con vernice spray e uno stancil.
Nessuno sapeva che cosa fossero quegli occhi di gatto fino a quando non apparvero i manifesti ufficiali dello spettacolo.
Ora, dimmi tu che cazzo c’è di virale in una campagna dove il nome del soggetto a cui è dedicata la campagna è in bella vista e presente in ogni contenuto.

La campagna a fumetti e una parodia.
Palle.
Per parodia si intende una riproduzione comica e ridicola di un contenuto qualsiasi, dove il contenuto stesso viene rivisto, rielaborato, in un ottica farsesca.
Questa è una parodia:

La logica parodistica è basata sul riconoscimento di quello che dovrebbe essere: Alien, e quello che viene rappresentato in realtà dal prodotto narrativo: Allen.
Un altro esempio?

Manzoni e i paperi.
Dove riconosci l’universo manzoniano, sai come dovrebbe essere, e lo leggi poi rappresentato nel mondo dei paperi.
Si citano spessi i manifesti parodistici della vecchia campagna di Berlusconi.
Si partiva da questo:

E la sua campagna veniva trasformata in questo:

E in mille altri derivati.
Un parodia semplice, dove l’elemento comico si basa sul gioco di parole, o sull’esasperazione comica dei concetti berlusconici, e l’applicazione a realtà e contesti che non appartengono alla campagna originale.
Di base però, si mantiene il rapporto comico tra quello che dovrebbe essere in realtà (un manifesto elettorale di Berlusconi) e quello in cui è stato trasformato (Uno sfottò, una critica verso Berlusconi)
Quindi, anche Game of Polthrones è una parodia.

Prende personaggi e concetti dalla serie televisiva e li usa per creare un effetto comico collocandoli in un contesto reale.
L’elemento comico viene colto da chi segue la serie, o da chi (come me) non ha visto la serie ma immagina il senso e il ruolo dei personaggi usati.
Anche in quel caso, c’è un calambour a chiudere il concetto: dove Game of Thrones viene trasfornato in Game of Polthrones, per lanciare il messaggio critico del gioco delle poltrone della politica italiana.

Ora dimmi dov’è la parodia in questo manifesto?

Se, per parodia, intendi che un personaggio dei fumetti non possa fare da testimonial per una campagna politica, vengo a prenderti sotto casa con un machete.
Tra l’altro, in questa campagna, a livello di contenuti, non c’è un distacco comico tra il messaggio presentato e l’ipotetico contenuto parodistico.
I personaggi esprimono delle idee riconducibili direttamente ai valori politici della lista rappresenta.
L’analogia è diretta, esplicita, presenta un contesto comunicatico plausibile, non parodistico.
A meno che…
A meno che la parodia non sia legata al fatto che Rivoluzione Civile NON segue, NON persegue e NON condivide i concetti politici espressi dai personaggi usati.
Allora sì, allora sarebbe una parodia, come in questo caso:

Per cui, spiegami. I manifesti/fumetti di Rifondazione Civile sono delle parodie perche non condividono le idee espresse nei manifesti, così come è stato pariodiato il manifesto di Casini?
La campagna a fumetti è un Fake.
Palle.
Sarebbe un Fake se rappresentasse un movimento politico inesistente.
Questi sono fake:

Questo no:

Perchè la lista esiste.
C’è.
La troverò sulla mia cartella elettorale.

Tutto il resto, tutto quello che è stato detto e fatto dopo, sono solo abili manovre per garantire riserve idriche al proprio mulino.
Mi stupisce che nessuno abbia ancora detto che virale o no, ufficiale o no, fatta da fan o da professionisti, questa campagna è completamente sbagliata.
A meno che…
A meno che l’importante è che se ne parli, costi quello che costi. Avere articoli sui giornali, interviste ai pasdaran del copyright e travisare completamente il senso delle cose.
Come e peggio degli avversari che vorrebbero battere.
Bravi.
Ancora bravi.

Chiudo questo inutile post dicendo che l’intervista “Valido Per L’Espatrio” di oggi non la metterò on line, per rispetto verso l’intervistato. Si ritroverebbe ad avere a che fare con gli ottocento ultras che piomberanno qui ad arrampicarsi sugli specchi, fare dei distinguo, giocare con la dialettica e dire una marea di cazzate.


Dampyr, Fumetto, Real Diegozilla, Scrittura, Tutto Il Resto

Maxi Dampyr 4, nello spazio (bianco) tutti ti sentiranno urlare: Buuuuh!

6 settembre 2012 • By

Da quando ho iniziato a fare questo mestiere, nel pleistocenico 1992, ho ricevuto più critiche positive che negative. Ed è un bene. Grazie a tutti.
In tutta onestà non sono “abituato” a beccarmi delle stroncature. Soprattutto se si tratta di recensioni negativissime e argomentate, frutto di un lungo ragionamento. Insomma, critiche negative che vanno oltre alla pisciatina nell’angolo che ogni tanto viene a farmi qualche anonimo.
Ecco perché il pezzo di Nigro su Lo Spazio Bianco mi ha colpito parecchio.
Ci sono rimasto male?
Sì. Un bel po’. Inutile mentire e pararsi dietro il ritornello: “ammè ste cose mi scivolano” perché non è vero, non è mai vero.
La mia reazione emotiva nella giornata di ieri, già tremenda di suo, non è stata delle migliori. Il mio umore ha preso il diretto per depressionelandia e chi mi era accanto ne ha fatto le spese.
Poi, come è nel mio carattere, ho sdrammatizzato.
Andavo in giro a frignare, con voce rotta:
- Mioddio sono l’orrore della banalità, ma ti rendi conto?!
Dopodichè ero pronto per analizzare la cosa con razionalità. Perché è giusto. Lo dice anche Nigro che vuole riflettere, dibattere e approfondire la cosa.
Il suo pezzo si apre così:
Dampyr è un personaggio il cui concept non ho mai davvero capito. Non sono mai stato abbastanza coinvolto dalle storie per seguire con regolarità la serie e, di conseguenza, la diluita continuity che si è sviluppata negli anni. Per me, i personaggi di Dampyr sono puro anonimato. Nessuna affettività. Il protagonista stesso, Harlan Draka, è per me l’incarnazione di uno strano avventuriero senza peso, come sospeso in una nebbia fatta di pezzi di altri personaggi, altri riferimenti narrativi (anche letterari) senza che vi sia stata una riuscita precipitazione in una sintesi efficace.
Ed è tutto legittimo a mio avviso.
Dampyr può piacere come non può piacere, è nella natura delle cose. Però, se i gusti si basano su una visione personale e soggettiva, purtroppo un concetto come la logica è un valore universale.
Per cui, senza neanche scomodare i vulcaniani, partendo da quel tipo di premessa, considerando come Nigro percepisce Dampyr, allora il mio maxi è un capolavoro.
Ho pienamente rispettato le sue aspettative. Anzi, ho confermato nei fatti la sua tesi iniziale.
Dampyr ti fa schifo.
Il Maxi Dampyr ti ha fatto schifissimo.
Logico e giusto.
Di sicuro ho capito che mi concentro sulle cose sbagliate. Nella prima storia, per esempio, c’è il flashback di un morto gestito tecnicamente come se fosse vivo. Niente. Ho capito che quel tipo di ironia può apprezzarla soltanto chi mastica a menadito il linguaggio narrativo bonelliano.
La seconda storia, a partire dai nomi dei personaggi, è un preciso lavoro di citazioni a più livelli tratte dai romanzi di Stephen King. Niente. Ho capito che nessuno si è messo a controllare su Google quei nomi o chi ha davvero ucciso il marito mettendogli il vetro nella minestra.
La terza, che è anche la mia preferita, ha un montaggio non lineare piuttosto complicato. Niente. Ho capito di aver sbagliato a rendere il tutto leggibile, nonostante si passi da sogno a flashback a tempo reale, a visione e di nuovo flashback, inferno e flashforward e risultando, alla fine, una lettura ugualmente comprensibile.
Ora mi è chiaro. Le cose a cui tengo io, quando scrivo una storia, interessano soltanto a me. Mi impegno così tanto affinché certe scelte non vengano notate, per mantenere l’albo agile, per mettere il personaggio (e non me) al centro dell’attenzione, che in effetti non vengono notate affatto. Me la sono cercata.
Poi Nigro dice:
Ma qualche buona storia l’ho letta. Il papà di Dampyr, Mauro Boselli, è un abile professionista, con una lucidità rara e la capacità di raccogliere da più parti riferimenti e intuizioni per imbastire storie preziose.
Io non posso competere con Boselli. Non è nemmeno in discussione.
E’ una cosa rarissima che un altro scrittore scriva un personaggio seriale meglio di chi lo ha creato. E con Dampyr questo non succede.
I fan di Dampyr adorano Boselli, e le storie che non scrive lui sono percepite “istintivamente” come inferiori appunto perché non le ha scritte lui. (Lo so. Ci faccio i conti. Lo accetto e vado avanti.)
Uno scrittore “in seconda” può cogliere alcuni aspetti del personaggio, può toccare alcune corde narrative diverse, sapendo di soddisfare le aspettative di una parte del parco lettori della testata. Forse anche tutti, ma in coscienza, uno scrittore in seconda sa che non muoverà mai il personaggio come chi ha creato e gestisce la serie.
Sapevo già che quelle tre storie del maxi non erano allo stesso livello, per esempio, della saga milanese dei numeri 144 e 145. Anzi. Ben poche produzioni a fumetti del 2012 (seriali e non) sono al livello dei numeri 144 e 145 di Dampyr.
Però, ed è buffo, si fa sempre prima a dire: “qualche buona storia l’ho letta” piuttosto che fare un bel pezzo di approfondimento su quei numeri.
Ma non è colpa di nessuno se è molto molto molto molto più divertente parlare male di una cosa piuttosto che parlarne bene.
E in effetti, è proprio da una recensione negativa che scopro l’affetto di Nigro nei miei confronti.
A me ci tiene, lo dice apertamente. Vuole anche sapere dove è finita la mia personalità di autore. “Ne vediamo l’ombra, ne sentiamo il respiro affannato, ma manca la vitalità, una sua voce autonoma.
Sono troppo coinvolto da me stesso per poter rispondere a queste domande. Però posso dire, del tutto apertamente, che quando scrivo sono convinto di quello che sto facendo. A determinare le mie scelte sono diversi fattori, ma se qualcosa non mi convince non la scrivo. Cerco di fare del mio meglio con le carte che ho in mano, ed è sempre stato così.
Non ho mai scritto niente tanto per scrivere, tanto per portare a casa la pagnotta, consapevole di scrivere una schifezza. Mai.
Al tempo stesso sono ben consapevole di non scrivere sempre dei capolavori assoluti della storia del fumetto mondiale. (A dire il vero, non credo di aver mai scritto un capolavoro assoluto della storia del fumetto mondiale, ma si sa, ho un certo gusto per iperbole.)
Magari, oh, ti è andata di sfiga Guglielmo! Già il personaggio non ti piace e ti sei beccato tre mie storie una dietro l’altra, dignitose, piacevoli per i fan, ma di sicuro non le storie migliori dell’intera serie di Dampyr.
Invece, se per “voce autonoma” si intende un progetto interamente mio, dove sono il creatore del personaggio e del contesto narrativo, quindi non uno scrittore in seconda, allora mi sa che bisognerà aspettare l’uscita di Longwei.
Verrà pubblicato dall’Editoriale Aurea, a Lucca il numero zero, e il numero uno in edicola da gennaio.
E ora scusami, vado davanti allo specchio a dirmi che sono l’orrore della banalità e a frignare ancora un po’.