Non ho mai fatto il bagno nel Pacifico, eppure metà del mio braccio destro è coperto da un tatuaggio tradizionale Maori. Eppure…
Sono uno dei tanti occidentali imbruttiti, se cammino senza scarpe mi fanno male i piedi, se prendo il sole mi scotto, se non funziona il Wi-Fi sclero. Eppure…
Eppure c’è qualcosa nel nostro immaginario collettivo, qualcosa che va a solleticare alcune reazioni archetipiche primarie, che collega l’occidente all’Oceania e alle isole del Pacifico.
È come se ci fosse una rotta storico/letteraria/immaginaria marcata e precisa che da quaggiù conduce laggiù. Su quella rotta si naviga spesso e volentieri, in diversi modi, per diversi motivi e con diversi risultati. Ma di fatto, quei luoghi reali occupano uno spazio di rilievo nei nostri luoghi immaginari.
Che siano gli ammutinati di Marlon Brando, o i tamarri di “Once Were Warriors”, che sia l’isola di Mr. Roarke e Tattoo, che sia una Hula ballata da bellezze indigene o “Parau Api” di Paul Gauguin, quelle isole ci attirano, sono diventate il sinonimo di concetti diversi: avventura, libertà, fuga, contatto con la natura.
Un titano dell’intrattenimento come la Disney, che muove da sola tutta la massa critica dell’immaginario collettivo contemporaneo, non poteva esimersi dal percorrere la rotta narrativa che porta verso l’Oceania.
E lo fa, per l’appunto, in maniera titanica, con un film meraviglioso da un punto di vista tecnico, e solido per quanto riguarda la parte narrativa.
Visivamente avvolge e coinvolge. L’animazione dell’acqua è qualcosa di mai visto prima, e avrebbe fatto comodo a Cameron quando ha girato “The Abyss”.
Gli sfondi estremamente realistici, e personaggi che non lo sono del tutto, creano un effetto particolare, da fiaba-vera o da real-fantasy. Sembra vero, ma non lo è e viceversa.
La scena più interessante, da un punto di vista visivo, è senz’altro quella in cui coesistono la doppia animazione 2D e 3D.
La storia è lineare e tradizionale. Procede in tre atti, calibrati al millesimo di secondo, rispetta e rispecchia il “buon modo” di scrivere per il cinema.
Tutta questa augusta perfezione, da un punto di vista visivo, narrativo e produttivo, rischia di diventare il suo unico punto debole.
Un film può essere troppo ben fatto?
Troppo meraviglioso?
Io ho sentito la mancanza delle imperfezioni. Ho avvertito il bisogno di piccole sbavature, di piccoli dettagli creativi non a fuoco, di non veder rispettare per forza gli archetipi fino in fondo. Le mie sono perplessità da rompiballe, e sono arrivate dopo, a casa, a mente freddissima. Perchè mentre guardavo “Oceania” ero troppo occupato a divertirmi come un matto, completamente perso in quella rotta dell’immaginario che porta verso le isole dove il mare è caldo, si mangiano noci di cocco, e quando arrivi ti mettono al collo ghirlande di fiori.
prova a guardare il video “Honest Movie Trailer” dedicato a Moana/Oceania e noterai le sbavature che ti renderanno felice.