Dawn of the dead, qui da noi: Zombi, punto e basta. Su Prime Video è disponibile la versione restaurata in HD, ed eccomi qui a parlarne, dopo la milionesima visione.
Zombi, secondo film zombesco dell’opera romeriana dedicata ai morti viventi, capostipite, pietra miliare/tombale dell’intero genere. È il nodo narrativo cardine per l’evoluzione dell’archetipo del morto che cammina nell’immaginario collettivo.
Ho passato buona parte degli anni ottanta guardando Zombi, ma a noi zombie-dipendenti piace chiamarlo: quello del centro commerciale. Alla fine, ho smagnetizzato la VHS a furia di rivederla.
In quel film i personaggi sono tanti, tantissimi. Comparse-scomparse senza battute perché gli basta ringhiare.
Deve essere molto divertente fare lo zombie in un film di zombie. In quel film alcuni dei morti viventi sono diventati delle vere e proprie icone. Ecco perchè è necessario attribuire i giusti riconoscimenti agli attori che li hanno interpretati. Scavando, spulciando, tra gli accreditati e i non accreditati, ecco qua la mia lista dei miei cinque zombi preferiti di Dawn of the dead con tanto di nome e cognome.
5: Lee Cummings, lo zombie ciccione in costume da bagno.
Prende a panciate i vetri infrangibili del centro commerciale. Entrerà poi, assieme alla gang di motociclisti che arriva devastare tutto. Viene spinto e rimbalza dentro la fontana, secondo me facendosi anche malissimo. Ma un paio di lividi sono il giusto prezzo da pagare per entrare nella leggenda.
4: Mike e Donna Savini, i bambini zombie.
Peter li trova nell’aeroporto di campagna. Sono i nipoti della leggenda Tom Savini, curatore degli effetti speciali di questo e mille altri film. Savini, lo zio che tutti vorrebbero, li ha trasformati in piccoli divi.
I bambini zombie sono anche gli unici che non rispettano i dictat di Romero, infatti corrono e si muovono veloci. Non mi ricordo dove ma Romero giustificò la cosa dicendo che erano “morti da poco”.
Oltre al trucco e alla situazione, sono i versi che fanno a renderli davvero inquietanti.
3: Leonard Lies, machete zombie.
Il trucco era così complesso che è Savini stesso a piantare il machete nella scatola cranica di Leonard Lies. Quell’immagine, fortemente iconica, è diventata una sorta di manifesto del film, assieme al gruppo che arriva quando si aprono le porte dell’ascensore. Di fatto, piantare un machete nella testa di qualcuno in modo frontale e visibile è stato fatto per la prima volta in questo film.
Il figlio di Leonard Lies, Leonard Anthony Lies è un regista, tra le altre cose ha diretto molti episodi di Mindhunter su Netflix.
2: Tommy Lafitte: Miguel, il primo zombie.
In assoluto il primo zombie che si vede in azione. Arriva dalle scale quando la polizia fa irruzione nel palazzo. Arriva, caracollando, con l’aria stralunata tipica del morto vivente e la pelle pitturata di azzurrino. Per essere proprio sicuri sicuri che la gente sappia che tipo di film sta vedendo, pochi secondi dopo Miguel strappa a morsi un pezzo di carne dal braccio di sua moglie con un effetto speciale tra i più realistici del film.
Menzione speciale: John Amplas, il buon Martinez.
Non è uno zombie, ma presumibilmente lo diventerà. Un incrocio tra Zapata e Che Guevara a capo dei portoricani in rivolta perchè non vogliono consegnare i loro morti.
- Martinez! Esci fuori! Non ci sono accuse contro di te e la tua gente!
- Per ora…
Non truccato così male, John lavorerà ancora con Romero e in diversi altri horror.
1: Michael Christopher Berhosky, l’hare krishna zombie.
Con i suoi occhialetti tondi e la sua tunica arancione è diventato un vero divo. Per forza di cose, trattandosi di zombie, è un divo del muto.
Anche lui molto iconico, con tanto di tamburello che penzola dalla cintura.
Purtroppo non è andato avanti a fare l’attore, preferendo la carriera di organista.
Questi sono i piccoli tasselli che vanno a costruire il colossale puzzle dell’immaginario collettivo.
Immagini che ricorrono, girano, si spostano da un media all’altro. Siccome sono il massimo esperto al mondo di cose inutili, mi piace scoprire le origini e i dettagli degli elementi narrativi di cui mi nutro.