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Food

Food, Televisione

Hell’s Kitchen Italia 2 è una metafora di questo Paese.

4 giugno 2015 • By

Questa sera, giovedì 4 giugno, alle 21.10 su Sky Uno andrà in onda la terza puntata di Hell’s Kitchen Italia 2015.
Mi piace Hell’s Kitchen. Mi piace l’edizione con Gordon Ramsay, e ho trovato molto divertente e azzeccata l’edizione italiana dell’anno scorso.
Questa sera, se guarderò il programma lo guarderò soltanto per seguire Mirko e Chang.
Tutto il resto è come farsi il bagno con gli Habanero. Irritante.
Grazie a un casting casoumanista mariadefilippiano, #HKIta mette in padella la migliore rappresentazione narrativo/visuale di quello che è il nostro Paese. Non mi intrattiene, non mi diverte, mi fa soltanto incazzare a mitraglia.

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Food, Food Critic!

Mangiare una pizza a Carcosa.

18 maggio 2015 • By

Venerdì la solita trattoria era strapiena. C’era una fila che usciva dalla porta per poi stazionare affamata sul marciapiede. Troppa gente. Poco tempo. Io e Ladyzilla decidiamo di consumare il nostro pranzo del venerdì da un’altra parte.
- C’è una pizzeria laggiù…
Dice lei.
- Bene, così proviamo un posto nuovo.
Dico io.
Nel cielo ci sono dei nuvoloni neri che minacciano pioggia. Io e Ladyzilla ci dirigiamo a passo spedito verso il posto nuovo.
Ho giusto il tempo di dare un’occhiata ai vari cartelli appesi alla porta, Paella su ordinazione il giovedì, giropizza il sabato, menufissobimbumbam.

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Food, Food Critic!

Ristorante Shanji, Milano.

13 aprile 2015 • By

shanji

Ti organizzo la serata. Vai in via Alessandro Volta, qui a Milano.
Prima entri da Alastor e prendi un paio dei miei fumetti. Poi attraversi la strada e vai a mangiare in un ristorante cinese di altissimo livello.
Non si vive solo spaccandosi di alliùchenit, nonostante il piacere avventuroso di frequentare localacci nella suburbia, ogni tanto bisogna, si deve, è necessario, trattarsi bene.
Il Shanji è un locale molto elegante, dall’arredamento moderno e pulito.
Mi dicono che per qualcuno è un fattore importante, quindi lo dico subito: no, non c’è nessun odore nell’aria, non esci avvolto nell’afrore di fritto e i gatti non ti inseguono.

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Food, Real Diegozilla

Gita all’artigggianatoinfiera!

3 dicembre 2014 • By

Va bene. Faccio coming out. Sono un fan della Fiera dell’Artigianato.
Nel mondo maschiale equivale a dire che mi piace andare all’Ikea il sabato pomeriggio.
Infatti, la mia passione per l’Artigiano in Fiera mi costa non poche prese in giro da parte dei miei amichetti.
Non sono soggetto ad atti di bullismo violento soltanto perché non ci vado con il trolley.
La fiera si tiene una volta all’anno. Per me è un appuntamento imperdibile.
Mi spacco di cibo e assaggini presi ai vari stand e, praticamente, ci faccio la spesa.
Prodotti tipici, nazionali e non. Riempio lo zaino di roba che consumo durante l’anno.
Compro un casino di cose da mangiare. Alcune le consumo in loco, tipo la birra inglese spillata giusta nella zona UK.
Riesco a sopportare i miliardi di umani che mi circondano, soltanto perché sono distratto dalla mia esplorazione mangereccia. In altre occasioni espanderei il mio cosmo creando uno spazio vuoto attorno a me lanciando via gli umani con la mia energia urlando: WAAHH-TAAHHH
Quindi, sopporto.
Sopporto le spintonate, sopporto il non capire mai da che parte comincia una fila, tollero l’impossibilità tipicamente italiana di condividere lo spazio in maniera educata, sorvolo su quelli che passano davanti, su quelli che si piazzano in mezzo ai corridoi. Trattengo il mio astio verso le ignoranze e mi faccio i cazzi miei in mezzo a loro.
Nel mio girovagare capito nella zona dedicata all’Abruzzo.
La mia attenzione viene attirata da un prodotto in barattolo esposto sul banco.
Ci sono due ragazzi che  l’hanno assaggiato e il tipo dello stand gli ha appena spiegato di che cosa si tratta.
Mi avvicino, guardo il barattolo, leggo l’etichetta.
Ventricina.
Dentro c’è un impasto che dà sul rosa, puntellato dalla presenza di erbe tritate. Mai visto prima. Dal nome, in base alle mie conoscenze culinarie, penso che dovrebbe essere una sorta di salume ottenuto con le parti meno nobili del maiale. Ma non si sa mai.
Chiedo.
- Lo vuoi assaggiare?
Mi chiede il signore allo stand.
- Sì!
- Te lo spiega lei cos’è…
Dice il boss mentre va a spalmarmi una dose di Ventricina su una fetta di pane.
La mia attenzione si sposta verso i due ragazzi. La tipa stava anche prendendo appunti sul prodotto.
- Che cos’è?
Chiedo gentile.
- E’ buonissimo!
Risponde la tipa. Meno di trent’anni, un po’ Geordie e un po’ Shore.
- Lo puoi usare per l’aperitivo.
- Sì, occhei. Ma che cos’è?
- Anche nella pasta! E’ buonissimo, davvero!
- Ho capito, ma che cos’è?
A questo punto interviene il suo Lui. Deve essere quello che si occupa delle cose più complicate e complesse a livello di coppia. Un problem solver. Infatti, risolutivo, mi dice:
- Ventricina.
Purtroppo, a quel punto, la mia pazienza è finita. Sibilo:
- So leggere. Volevo sapere di che cosa è fatto.
- Maiale!
È tornato il tipo dello stand. Mi porge l’assaggio.
I due scienziati ne approfittano per salutare e andarsene. Dicono che passeranno dopo.
Io assaggio. L’aglio copre ogni sapore. Non sono contrario all’aglio, ma in dosi massicce uccide tutto. Avverto la tipica consistenza di cartilagine e un retrogusto ferroso, tipico del quinto quarto.
- Mh! Sono frattaglie, dico bene? Frattaglie e… Muso?…
Dico al banconiere.
- Sì, di maiale.
Risponde lui.
Dodici euro. Troppi per delle frattaglie impastate con una tonnellata di aglio.
Poi, magari, la Ventricina “vera”, quella non presa a Milano alla Fiera, ma direttamente sul posto, è la cosa più buona del mondo. Visto il prezzo, questa la lascio qui.
Saluto e passo ad altro.
Mi sento un po’ in colpa per essere stato scortese con i due ragazzi di prima, del resto, non è colpa loro se non sono in grado di dirti che cosa hanno appena assaggiato. Non è colpa loro se non sono in grado di capire una domanda e dare una risposta.
La colpa è mia. Faccio parte di una minoranza.


Area VIP, Food, Food Critic!, Real Diegozilla

L’Italia a 9 e 90.

20 ottobre 2014 • By

Il mio analista mi ha proibito di andare all’Auchan di Cesano Boscone. Però, negli ultimi sei, sette mesi, ho disobbedito ai suoi ordini e mi sono recato spesso in quel luogo di perdizione suburbana. A farmi andare laggiù, girando per il centro commerciale guardando in faccia la manifestazione biologica e tangibile della nostra impossibilità di riscatto come Paese, è stata l’apertura di un ristorante cino-giappo all you can eat. Un Kaiten-zushi per la precisione. Un ristorante con rullo trasportatore che rulleggia piano piano tra i tavoli trasportando piattini colorati con mini porzioni di cibo.
Quando l’ho visto per la prima volta, credo un paio di giorni dopo l’apertura, ho sorriso perché ho avvertito una parvenza europea. Credevo, mi illudevo, nella mia stronza esterofilia, di avere un pezzettino di Europa contemporanea in quel tempio dedicato alla più gretta mediocrità italica chiamato Auchan di Cesano Boscone. Dove tutto è livellato verso il minimo comune multiplo più mimino tra tutti. Invece, ecco un Kaiten-zushi. Come, per esempio, nel banale centro commerciale di Angel a Londra. Dunque siamo pronti. Mi dicevo tra me e me. Pronti per un’alternativa alla pasta precotta e all’obbligatorietà del carboidrato con formaggio e pomodoro. Posso scegliere, ho la possibilità di decidere che cosa mangiare.
Il Kaiten-zushi dell’Auchan di Cesano Boscone non era il miglior cino-giappo in cui ho mangiato, ma non era nemmeno il peggiore. Era onesto. Ecco. Onesto è la parola più adatta per descriverlo. Per un prezzo fisso molto popolare, sapendo bene che cosa tirare su dal rullo, si poteva pranzare rimpinzandosi in maniera onesta. Prezzo fisso e mini porzioni da prendere quante volte ti pare, era divertente mangiare lì.
Un locale molto molto grande, con due linee di rulli e una cucina enorme, parzialmente a vista. Il personale gentile. Era diventato un mio appuntamento fisso: che si fotta il mio analista, posso gestire le sensazioni negative che mi trasmette l’Auchan, se come premio ho un rullo che rulla con su della roba da mangiare. Mediamente buona.
Il locale, molto molto grande, era anche molto molto vuoto.
Anzi, no. Peggio.
Il “rullino” a pranzo si riempiva parzialmente di quelli che non trovavano posto negli altri luoghi di ristoro. Non che a far concorrenza al Kaiten-zushi ci fossero le migliori trattorie della Lombardia, o dei ristoranti stellati, o dei posti con una personalità in fatto di cibo. C’erano e ci sono tuttora: un Mac Donalds. Un kebabbaro gestito da italiani, perché il minimo comune multiplo umano è di base razzista e gli sta sul culo dare i soldi agli arabi. Un posto dove cuociono il riso precotto e per finire la piadineria con, a giudicare dalla fila, la piadina più buona di questo quadrante dell’universo. Non ho mai visto una coda simile per prendere la piadina nemmeno a Rimini alla Casina del Bosco. (Lì la piadina è veramente la più buona in questo quadrante dell’universo, e dico sul serio.)
Quindi, l’affamato cesanobosconese in gita all’Auchan non trovando un buco negli altri locali aveva, come tremenda, imprevista, ultima alternativa entrare al Kaiten-zushi.
Il gestore, furbo e intraprendente, capendo come ragiona Lo Italliano aveva iniziato a buttare sul rullo non soltanto cibo cino-giappo, ma anche porzioni di patatine fritte, cosce di pollo, pane, cozze bollite, gamberetti alla griglia… Gli affamati della suburba, schifando il sushi e il pollo gong bao si sedevano comunque, rimpinzandosi di patatine fritte.
Meglio. Sul rullo rimaneva più tonno per il sottoscritto.
Una volta, addirittura, il cuoco ha messo fuori i nigiri con il tonno affumicato. Li ho mangiati soltanto lì.
Per un po’, il Kaiten-zushi ha vissuto con queste due anime. Rullo fusion, tanto per dirla in modo carino. Però, è ovvio che un locale molto molto grande non può campare soltanto con quelli che non riescono a sedersi dalle altre parti. Anche se trova il modo di accontentarli. Quindi, il gestore furbo e intraprendente, invece di piangersi addosso è corso ai ripari. Come?
Ha aggiunto delle enormi postazioni a buffet con cibi caldi e freddi, allargando l’intero menù ai piatti italiani.
E ha svoltato.
Nei bancali dell’abbuffè, ora la gggente si sfonda di lasagne, pizza, patate, mozzarelle e pomodori. Salumi. Spaghetti. Prende mastellate di roba direttamente dai secchi di cibo cinese precotto. È lo stesso cibo cinese che girava sul rullo, ma prima, prenderne un piattino alla volta, si vede che non era sufficiente da un punto di vista psicologico. Scaravoltarti un badile di roba nel piatto deve essere più appagante per le belle anime che popolano l’Auchan di Cesano Boscone.
Giusto per farti un esempio, nel trogolo del cibo freddo, l’altro giorno c’era una vasca di rondelle di olive. Le olive snocciolate e tagliate a rondelle sono una componente, una parte di una ricetta più complessa. Invece no. La ggente si mangiava felice cofane di olive a rondelle.
Sul rullo ora girano dei tristi e sconsolati nigiri di salmone color “giacca di Fiorello nel 1993”. Oppure c’è il surimi.
Io, al furbo e intraprendente gestore gli voglio bene. Eravamo diventati amici e ti assicuro che capisco la sua scelta. La sua si è dimostrata una decisione corretta, infatti il suo locale ora è pieno. Pienissimo.
Ci sono stato venerdì e non ci andrò più. Ha perso un cliente, me, e ne ha guadagnati ottomila. Meglio per lui.
Allargando a dismisura il menù proposto, senza modificare il prezzo popolare dell’all you can eat, è ovvio che da qualche parte doveva pur risparmiare.
Tipo sulla qualità di quello che serve.
Ecco, diciamo che di mangiare merda non ne ho molta voglia. Ma a quanto pare, osservando la folla famelica che mi circonda, sono l’unico a pensarla così, e ad avere il palato dotato di un minimo di consapevolezza.
Non critico lui.
Critico la mediezza italica che desertifica un cino-giappo onesto, premiando invece un ibrido trogolo dove ci si abbuffa felice di roba che a chiamarla cibo gli fai un favore.
Uno splendido spaccato di quella che è la nostra società e di quello che sarà il nostro destino. Il livellamento verso l’infimo, pur di mantenere le nostre inutili, dannose, fuori tempo massimo tipicità italiane che tutto-il-mondo-ci-invidia.