Il mio analista mi ha proibito di andare all’Auchan di Cesano Boscone. Però, negli ultimi sei, sette mesi, ho disobbedito ai suoi ordini e mi sono recato spesso in quel luogo di perdizione suburbana. A farmi andare laggiù, girando per il centro commerciale guardando in faccia la manifestazione biologica e tangibile della nostra impossibilità di riscatto come Paese, è stata l’apertura di un ristorante cino-giappo all you can eat. Un Kaiten-zushi per la precisione. Un ristorante con rullo trasportatore che rulleggia piano piano tra i tavoli trasportando piattini colorati con mini porzioni di cibo.
Quando l’ho visto per la prima volta, credo un paio di giorni dopo l’apertura, ho sorriso perché ho avvertito una parvenza europea. Credevo, mi illudevo, nella mia stronza esterofilia, di avere un pezzettino di Europa contemporanea in quel tempio dedicato alla più gretta mediocrità italica chiamato Auchan di Cesano Boscone. Dove tutto è livellato verso il minimo comune multiplo più mimino tra tutti. Invece, ecco un Kaiten-zushi. Come, per esempio, nel banale centro commerciale di Angel a Londra. Dunque siamo pronti. Mi dicevo tra me e me. Pronti per un’alternativa alla pasta precotta e all’obbligatorietà del carboidrato con formaggio e pomodoro. Posso scegliere, ho la possibilità di decidere che cosa mangiare.
Il Kaiten-zushi dell’Auchan di Cesano Boscone non era il miglior cino-giappo in cui ho mangiato, ma non era nemmeno il peggiore. Era onesto. Ecco. Onesto è la parola più adatta per descriverlo. Per un prezzo fisso molto popolare, sapendo bene che cosa tirare su dal rullo, si poteva pranzare rimpinzandosi in maniera onesta. Prezzo fisso e mini porzioni da prendere quante volte ti pare, era divertente mangiare lì.
Un locale molto molto grande, con due linee di rulli e una cucina enorme, parzialmente a vista. Il personale gentile. Era diventato un mio appuntamento fisso: che si fotta il mio analista, posso gestire le sensazioni negative che mi trasmette l’Auchan, se come premio ho un rullo che rulla con su della roba da mangiare. Mediamente buona.
Il locale, molto molto grande, era anche molto molto vuoto.
Anzi, no. Peggio.
Il “rullino” a pranzo si riempiva parzialmente di quelli che non trovavano posto negli altri luoghi di ristoro. Non che a far concorrenza al Kaiten-zushi ci fossero le migliori trattorie della Lombardia, o dei ristoranti stellati, o dei posti con una personalità in fatto di cibo. C’erano e ci sono tuttora: un Mac Donalds. Un kebabbaro gestito da italiani, perché il minimo comune multiplo umano è di base razzista e gli sta sul culo dare i soldi agli arabi. Un posto dove cuociono il riso precotto e per finire la piadineria con, a giudicare dalla fila, la piadina più buona di questo quadrante dell’universo. Non ho mai visto una coda simile per prendere la piadina nemmeno a Rimini alla Casina del Bosco. (Lì la piadina è veramente la più buona in questo quadrante dell’universo, e dico sul serio.)
Quindi, l’affamato cesanobosconese in gita all’Auchan non trovando un buco negli altri locali aveva, come tremenda, imprevista, ultima alternativa entrare al Kaiten-zushi.
Il gestore, furbo e intraprendente, capendo come ragiona Lo Italliano aveva iniziato a buttare sul rullo non soltanto cibo cino-giappo, ma anche porzioni di patatine fritte, cosce di pollo, pane, cozze bollite, gamberetti alla griglia… Gli affamati della suburba, schifando il sushi e il pollo gong bao si sedevano comunque, rimpinzandosi di patatine fritte.
Meglio. Sul rullo rimaneva più tonno per il sottoscritto.
Una volta, addirittura, il cuoco ha messo fuori i nigiri con il tonno affumicato. Li ho mangiati soltanto lì.
Per un po’, il Kaiten-zushi ha vissuto con queste due anime. Rullo fusion, tanto per dirla in modo carino. Però, è ovvio che un locale molto molto grande non può campare soltanto con quelli che non riescono a sedersi dalle altre parti. Anche se trova il modo di accontentarli. Quindi, il gestore furbo e intraprendente, invece di piangersi addosso è corso ai ripari. Come?
Ha aggiunto delle enormi postazioni a buffet con cibi caldi e freddi, allargando l’intero menù ai piatti italiani.
E ha svoltato.
Nei bancali dell’abbuffè, ora la gggente si sfonda di lasagne, pizza, patate, mozzarelle e pomodori. Salumi. Spaghetti. Prende mastellate di roba direttamente dai secchi di cibo cinese precotto. È lo stesso cibo cinese che girava sul rullo, ma prima, prenderne un piattino alla volta, si vede che non era sufficiente da un punto di vista psicologico. Scaravoltarti un badile di roba nel piatto deve essere più appagante per le belle anime che popolano l’Auchan di Cesano Boscone.
Giusto per farti un esempio, nel trogolo del cibo freddo, l’altro giorno c’era una vasca di rondelle di olive. Le olive snocciolate e tagliate a rondelle sono una componente, una parte di una ricetta più complessa. Invece no. La ggente si mangiava felice cofane di olive a rondelle.
Sul rullo ora girano dei tristi e sconsolati nigiri di salmone color “giacca di Fiorello nel 1993”. Oppure c’è il surimi.
Io, al furbo e intraprendente gestore gli voglio bene. Eravamo diventati amici e ti assicuro che capisco la sua scelta. La sua si è dimostrata una decisione corretta, infatti il suo locale ora è pieno. Pienissimo.
Ci sono stato venerdì e non ci andrò più. Ha perso un cliente, me, e ne ha guadagnati ottomila. Meglio per lui.
Allargando a dismisura il menù proposto, senza modificare il prezzo popolare dell’all you can eat, è ovvio che da qualche parte doveva pur risparmiare.
Tipo sulla qualità di quello che serve.
Ecco, diciamo che di mangiare merda non ne ho molta voglia. Ma a quanto pare, osservando la folla famelica che mi circonda, sono l’unico a pensarla così, e ad avere il palato dotato di un minimo di consapevolezza.
Non critico lui.
Critico la mediezza italica che desertifica un cino-giappo onesto, premiando invece un ibrido trogolo dove ci si abbuffa felice di roba che a chiamarla cibo gli fai un favore.
Uno splendido spaccato di quella che è la nostra società e di quello che sarà il nostro destino. Il livellamento verso l’infimo, pur di mantenere le nostre inutili, dannose, fuori tempo massimo tipicità italiane che tutto-il-mondo-ci-invidia.