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Cuba, Viaggi

Diario Cubano (7)

7 settembre 2005 • By

Precisazioni.
L’ho detto che Ladyzilla e il sottoscritto eravamo all’Hotel Barcelò?
No?
Fanniente, lo dico adesso.
Dal 3 al 17 Agosto 2005, Hotel Barcelò.
Perché dico tutto questo?
Per facilitare Google.
🙂

Letture Estive.
Mi ero portato i miei soliti cinque libri, lettura minima del mio periodo vacanzifero.
Sarà stato il sole, il mare, la natura, il posto, ma non ne ho letto nemmeno uno.
Mediamente, si sguazzava in acqua per un ora ogni quaranta minuti, dita cotte, relax assoluto, esci, fumi di corsa una sigaretta e poi ti ributti nell’azzurro.
Altro che leggere.

Sampei.
Secondo me, la persona che si è divertita di più a Cayo Largo, è stato un ragazzo italiano che si era portato da casa una canna da pesca professionale, con tutti gli annessi e connessi, contenuta in un tubo nero di due metri e rotti.
A Sampei piaceva pescare, e lo faceva dalla mattina alla sera.
Si piazzava sugli scogli, o sulla terrazza che dal ristorante conduceva alla spiaggia, e stava lì a fumare il sigaro e pescare.
Pescava, e poi portava i pesci alla cucina del ristorante.
Tra le sue prede, numerosi pesci, ma so dirvi la razza di uno soltanto.
Un Barracuda di un metro e sessanta, di almeno dieci Kg.

Il vizio.
Dopo un po’ la stecca di sigarette comprata a Malpensa finisce.
Che si fa?
Passare direttamente al sigaro, mi sembra un po’ esagerato, ci sono poche marche di sigarette al negozio dell’albergo, Ladyzilla prende le Gauloises rosse e io mi butto sulle Hollywood al mentolo.
Dopo mezzo pacchetto, mi trasformo in un Koala dall’alito fresco.
Non posso non notare le occhiate di approvazione dei non fumatori che ci osservano in spiaggia, approvano, noi siamo fumatori cortesi e ci portiamo sempre via i mozziconi.
E’ semplice, basta tenere a rotazione un pacchetto vuoto, dove conservare il mozzico dopo averlo spento nella sabbia.
Ogni tanto, se devo essere sincero, mi esibisco in questa pratica facendomi notare, la mia speranza è quella di trasferire il nostro metodo anche agli altri fumatori spiaggiferi presenti.

Il non luogo.
Dopo un po’, riconosci i volti delle persone attorno a te, stai nello stesso albergo, anche se non li conosci, li identifichi e ti sembra di conoscerli.
Così, mi rendo conto che in molti hanno passato 15 giorni in piscina, facendo la spola tra la vasca e il vicino anfiteatro con il bar aperto 24 ore, facendo amicizia con gli animatori cubani, i ragazzi del bar, partecipando attivamente a tutte le iniziative, dal corso di Salsa all’acquagym, sguazzando in piscina e prendendo il sole sui lettini.
Quell’area del villaggio, la parte centrale, quella “animata”, con la piscina e le casse stereo, le partite di pallavolo, i ritmi scanditi dagli animatori, è il non luogo per eccellenza.
Piccole differenze a parte, credo che cambi un po’ l’architettura e il colore degli animatori, ma tra quell’area al Barcelò di Cayo Largo e lo stesso non luogo in un villaggio a Milano Marittima, non ci sono differenze.
E’ una sorta di estero controllato, familiare, amico, dove sentirsi sicuri, dove partecipare ad attività uguali in tutte le parti del mondo, è la globalizzazione dei luoghi, che allo stesso tempo unisce e divide, ponendo un muro percettivo altissimo tra l’interno e l’esterno.
Sono stato a Cuba.
Cosa hai visto?
La piscina.
Ogni non luogo ha la sua Regina, e immagino che sia così in tutti i non luoghi del mondo, una turista che si piazza lì, broccola un animatore e passa due settimane intense, fatte di scadenze precise, dal balletto di apertura al balletto di chiusura, dalle gare ai giochini, senza mai mettere il naso fuori dalla struttura.
Ho visto la Regina del Non Luogo, era lì con tutta la sua famiglia, non voglio essere più cattivo del dovuto, diciamo che erano un clan di Hobbit in vacanza.
Tutti morfologicamente identici, tutti con le stesse difficoltà di coordinazione nella Salsa, che comunque, con coraggio, insistevano nel praticare.
Chissà se la Regina è riuscita a fare all’ammore con l’animatore prescelto, chissà, io sinceramente, lo spero per lei, visto che ci ha investito tutto quel tempo…

Snorkeling Mitocondriale.
Premesso che il mio papà è un istruttore di istruttori di Sub, premesso che il Cajelli Senior ha un brevetto che ha praticamente soltanto lui, e che insegna fotografia subacquea, inutile dire che mi ha trasmesso attraverso il suo DNA, la predisposizione a perdere i capelli e una dimestichezza estrema con l’ambiente acquatico.
Mi ha fatto prendere dei brevetti, mi ha insegnato un sacco di cose, e mi ha detto: devi portare assolutamente le pinne la maschera e il boccaglio, sennò non sai che ti perdi nei mari cubani.
Bene.
Quest’anno ho imparato una cosa nuova, sono uguale a mio padre.
Mentre spiegavo a Ladyzilla come e cosa doveva fare, come doveva indossare l’attrezzatura, come doveva pinneggiare, mentre dirigevo la nostra marcia verso il faro galleggiante di Playa Sirena, lei, mi ha fatto notare come il mio atteggiamento fosse simile, se non uguale, a quello di mio padre.
Porca miseria, era vero.
Ho avuto un flashback.
Puglia, 1977, mio padre mi diceva le stesse cose, usando lo stesso tono che ho usato con Ladyzilla a Cuba nel 2005.
Vabbè.
Questioni di famigghia a parte, scorrazzare con la maschera a Playa Sirena non è stato un granchè.
A parte la corrente fortissima, che a una certa distanza dalla riva, inizia a tirare dalla spiaggia verso fuori, e che ha raddoppiato i tempi del rientro, la barriera corallina è molto lontana, ed è meglio andarla a vedere facendo la gita con il catamarano.
(Noi, avevamo scelto di andare a L’Havana, e tutte e due le gite, erano un po’ troppo per le nostre tasche)
Abbiamo visto una stella marina gigante, grossa più o meno come il volante di un’automobile, colorata di un bel rosso accesso, e un branco di pescioloni.
Se fossi stato davvero uguale uguale a mio padre, di quei pesci vi saprei dire il modello, la marca, la razza, il nome latino, le tipicità, le caratteristiche biologiche, le abitudini alimentari, il carattere, l’oroscopo e i nomi in pescese di ogni singolo individuo del branco.
Ma dato che non sono esattamente come lui, non ancora perlomeno, vi dirò che erano una decina, a forma di pesce, con delle strisce gialle sui lati, grossi come un mio avambraccio.
Uno di loro si chiamava Pablo, ma lo so perché me lo ha detto la stella marina.

Temporale Tropicale.
Piove dai cinque ai sette minuti, ma piove fortissimo, in tutte le direzioni, da sopra, da destra, da sinistra, da sotto, diagonale, a turbine, a frammentazione, a girello, una doccia completa.
Il cielo diventa tutto nero, i nuvoloni arrivano da Est, e scaricano tonnellate di acqua.
Ci ripariamo sotto il tetto dell’anfiteatro.
Ma il richiamo è troppo forte.
Nella mia testa sento dei tamburi che fanno bum bum bum, e il mio costume da bagno non sembra di acrilico, sembra fatto di foglie.
Bum Bum Bum Bum
Mi levo la maglietta, saluto Ladyzilla e i nostri amici e mi butto sotto l’acqua.
Le gocce fanno male, vengono giù fortissime.
Offro la faccia al temporale, chiudo gli occhi, e mi godo l’acqua gelida che mi avvolge.
Per un minuto sono un guerriero tribale che ringrazia per la pioggia, per un minuto sono un mio antenato con la lancia che va a caccia di bradipi, per un minuto torno indietro nel tempo e penso alla mia capanna.
Cacciatore o raccoglitore?
Sciamano.
E’ un bagno sciamanico.

(continua)


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Cuba, Viaggi

Diario Cubano (6)

1 settembre 2005 • By

L’asilo di zia Licia.
A Cayo Largo, Licia Colò ha fondato un centro per la tutela delle tartarughe marine.
Come ho già detto, sul lato sud dell’isola, la costa su cui affacciamo le spiagge degli alberghi, nottetempo arrivano le tartarughe a deporre le uova.
Il biologo del centro e il suo aiutante, si sbattono come due pazzi, il lavoro è complicato e laborioso.
Al mattino presto, armati di un aggeggio apposito e di un secchio, arrivano in spiaggia, scavano, levano le uova e le mettono con cura nel secchio.
Poi spostano le uova in una zona protetta, in modo che i gabbiani non se le pappino tutte, o che qualche turista idiota non inizi a tirarle addosso alla sua bella sotto al sole.
Mettono una targhetta, in modo da sapere quando più o meno si devono schiudere, e una volta nati, prendono i cuccioli e li mettono per un mesetto nelle vasche del centro.
Quando i cuccioli sono fusti e robusti, tornano in spiaggia per liberarli in mare.
Nonostante tutto questo tran tran solo il 5% delle tartarughe arriva all’età adulta.
Il biologo praticamente libera le tartarughe in mezzo ai bagnanti, e si trasforma in un novello Alberto Angela, con precisione ti racconta vita, morte e miracoli delle tartarughe e della loro attività, poi, siccome dice che porta fortuna, lascia che siano i bambini ad adagiare le tartarughe sul bagnasciuga, dopo avergli fatto dare un rituale bacino.
La tartaruga appena sente il rumore del mare (credo) inizia ad agitarsi, muove le pinnette, agita il crapino, riceve il bacio, ringrazia e finalmente tocca la sabbia.
Goffa, goffissima comincia a trascinarsi verso l’acqua, il mare è mosso, il pensiero comune è che alla prima ondata il cucciolo si ribalti, e sia necessario rigirarlo e rimetterlo in pista.
Cinquanta centimetri di sabbia che sembrano cento km, piano, slittando, cammina e cammina, poi la prima onda le bagna il muso.
E lei schizza, con un accelerazione da zero a cento degna di una Ferrari, taglia le onde e sparisce in un nanosecondo, verso l’orizzonte, verso il mare aperto.
Se tutto va bene, tra tre anni tornerà esattamente nello stesso posto per deporre le uova a sua volta.
Se tutto va bene, perché se tutto va male, tra tre anni potrebbe deporre le uova all’ingresso di un locale di Briatore.

Panico da Buffet.
Ricevo qualche occhiata di schifo, da parte degli itagliani al restaurante, perché sul mio piatto c’è un filetto di pesce, del riso bianco e delle banane fritte.
Erano disposti vicini nella stessa zona del buffet, per cui ho presunto che si abbinassero bene tra loro. Visto che loro guardano quello che mangio io, mi sento in dovere di guardare quello che mangiano loro.
Pasta e patate fritte.
Possibile?
C’è l’iradiddio, e qui siamo ancora alla pasta e alle patate fritte.
L’assaggio è il grande nemico, assaggiare è l’atto che più terrorizza l’itagliano al restaurante.
Guai a prendere un pochino di tutto e scoprire che cosa ti piace e che cosa no, guai a fare un paio di giri esplorativi, la costante è riempire il piatto come se fosse l’ultima cena del condannato a morte e mollare lì mezzo kg di cibo cincischiato.
Poi si lamentano perchè la pasta non è buona, ma, porca puttana, i giapponesi in vacanza a Milano mangiano il sushi?
Torno al tavolo, assaggio, la banana fritta è ottima, sa un po’ di patata e un po’ di cannella, con un retrogusto agrodolce che esalta il sapore del pesce e del riso bianco.
Convinco anche Ladyzilla a provare, lei assaggia, approva e sorride.
Comunque io lo so perché la pasta non è buona, anche se non andato fino a Cuba per mangiare spaghetti.
Forse perché capisco quello che mangio, o forse perché cucino, avverto che il problema non è nella pasta, ma nel sugo. E’ fatto con olio di semi e senza soffritto.
Il problema è tutto qua, ma è un mistero indecifrabile per il palato medio, palato e cervello dovrebbero essere collegati tra loro, aiutati dalla vista e dalla memoria, dovrebbero essere in grado di porre rimedio a qualsiasi problema.
Tipo, prendere dell’olio di oliva aromatizzato alla cipolla, che se ne sta bello tranquillo nella zona insalate e correggere il sugo, aggiungendoci se ti va anche delle belle olive nere, snocciolate.
Macchè. I piatti sono ricolmi di roba che viene buttata dopo un primo annoiato assaggio.
E io sono un idiota.
C’era dell’ottimo prosciutto crudo, tagliato grosso, riesco a prendere un’ultima fettina, perché c’è stato l’assalto dei Tartari.
Mentre torno al tavolo vedo una tizia con un piatto pieno di crudo, abbandonato sul tavolo e l’espressione di un indios del Borneo che vede atterrare un aero cargo per la prima volta in vita sua.
Io, idiota, non ho il coraggio di dirle: visto che non lo mangi, posso prenderlo io?
Ladyzilla si incazza ogni volta che vede un cameriere buttare via dei piatti pieni, e accigliata si chiede: Si lamentano, ma vorrei sapere che cosa cazzo mangiano questi a casa loro.
Aragosta, controfiletto, pasta fresca… e da bere?
Caviale, presumo.

Salsa.
Dopo un po’, se sei minimamente onesto con te stesso, te lo chiedi per forza: Ma questi, come diavolo fanno a muoversi così?
Qui ballano tutti.
Chiaramente ballano i ballerini, ballano gli animatori, ma ballano anche le donne delle pulizie mentre spazzano per terra, ancheggiano tirando la cera, ballano i baristi, ballano i camerieri, ballano quelli alla reception, balla Manta mentre aspetta che si riempia il trenino, ballano, sculettano, si agitano tenendo il tempo, flettendo dei muscoli che devono avere soltanto loro.
Di nascosto, vergognandomi come un ladro, ho provato anche io a ballare la Salsa, ma sembravo soltanto uno che si preparava per la corsa nei sacchi.
Il fulcro dell’animazione serale è un gruppo di ballerini professionisti, ogni sera fanno uno show, esibendosi in danze caraibiche, danze moderne, stacchetti in costume e quant’altro.
Nel pomeriggio, coadiuvati dagli animatori, cercano di insegnare i rudimenti del ballo agli itagliani con molto spirito di emulazione.
Ogni tanto, passando lì davanti, si può godere delle differenze.
Una ballerina mulatta di un metro e ottantacinque, leggera e leggiadra che balla con la stessa naturalezza con cui respira, senza nemmeno sudare, a fianco di una centralinista di Sasso Marconi, sudata come un gregario di Coppi durante una tappa dolomitica, lingua fuori, coordinazione che dura al massimo otto secondi e occidentalissime chiappe molli che si agitano attraverso un costume fucsia.

Carlos Puebla.
Onestamente, la Salsa e i Salseri sono belli da vedere, loro però, perché è roba loro, e la sanno ballare, punto.
La Salsa da ascoltare, dopo un po’ mi frantuma le gonadi.
Ripiego sulle canzone popolari classiche, che i musicisti dell’albergo suonano dal vivo a tutte le ore, la sera sul palco, e di giorno a zonzo per il villaggio con le chitarre a tracolla.
La hit dell’estate è chiaramente Hasta Siempre, la canzone su Che Guevara scritta da Carlos Puebla.
In un negozio scovo un Cd , Carlos Puebla y sus tradicionales, copertina nera, scritte rosse, ritratto del Che in bianco e nero.
Altro souvenir.

(continua)


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Diario Cubano (5)

30 agosto 2005 • By

Il Floridita e la Bodeguita del Medio.
Si sa che ci andava Ernest Hemingway a bere, te lo dice la guida e l’itagliano ci vuole andare.
Bene.
Se non fossi un idiota, chiederei ai cento turisti in fila per fare le foto, quale tra i romanzi di Ernest è il loro preferito.
E comunque… minchia, quanto beveva Hemingway!
Al Floridita, lo zio Ernest beveva il Daiquiri, mentre alla Bodeguita scolava Mojito.
Che ci crediate o no, il turista va a bere quello che beveva Hemingway nei posti in cui lo beveva, in pochissimi però, una volta tornati a casa, scriveranno “Il vecchio e il mare.”

Souvenir 2
Improvvisamente, svoltiamo in una piazza piena di bancarelle di libri.
Il gruppo prosegue la sua marcia e io prego Ladyzilla di tenerli d’occhio, guardo le copertine, i miei occhi scorrono freneticamente sui titoli.
Lei, riconoscendo il mio sguardo da bambino perduto nei paesi dei balocchi, mi aiuta di brutto, mi dice: guarda qui, guarda lì, e grazie alla sua supervisione, in mezzo minuto compro i miei souvenir cubani:
La ristampa anastatica dell’album di figurine di Camilo Cienfuegos e il Manual Basico del Miliciano de Tropas Teritoriales, sui contenuti del secondo, è meglio non parlarne in rete, di questi tempi non si sa mai.

Diè è razzista.
Mi tirerò addosso la furia dei liberal benpensanti politicamente corretti, ma devo dirlo.
Ci portano in un mercatino tipicamente turistico, tre file di bancarelle, strette strette, sotto a dei tendoni per ripararsi dal sole.
Il posto è angusto, le bancarelle sono moltissime, c’è un sacco di gente, venditori e turisti.
Se quel mercato fosse stato in un paese arabo non ne saremmo usciti vivi.
Lì, ti infili tra le bancarelle e non c’è nessuno che ti tira, non c’è nessuno che ti blinda trascinandoti a forza nel proprio bazar, non c’è nessuno che ti obbliga a comprare, non ci sono solo uomini, pronti a trattare un prezzo che parte da cento volte tanto il prezzo “vero” dell’oggetto, non c’è nessuno che afferra la tua ragazza, facendole i complimenti, mettendole in mano dei gioielli di merda, costringendoti a litigare per andare via, come ci è successo varie volte in Tunisia.
Ne siamo così sconvolti, che non siamo riusciti a comprare niente.

Il quadro più bello del mondo.
70/100, in puro stile Pop Art, quattro barattoli di zuppa, citazionismo assoluto da Andy Warhol, sui quattro barattoli i volti di Fidel, Che Guevera, Camilo e un altro che non conosco.
Colori fluo, accesissimi, e le scritte: Ideologia, Sexo, Rivolucion, Libertad.
Prezzo: Mille e cento Pesos, novecento e rotti euri.
Ladyzilla, che adora la Pop Art, sospira.

Gramma
Prende il nome dalla barca che Fidel usò per tornare a Cuba dal Messico in compagnia di un ottantina di rivoluzionari.
Ora è l’organo ufficiale del partito, viene venduto per strada a un Peso, con il supplemento: Juventud Rebelde.

Permuto.
A Cuba la casa è di proprietà dello stato, non so bene come funzioni, ma credo che ti venga assegnato un alloggio, ma non so se paghi l’affitto.
Fatto sta che sulla strada, appesi alle porte di casa ci sono molti cartelli, gente che scambia il proprio appartamento con un altro più adatto alle proprie esigenze, più grande se la famiglia si è allargata, più piccolo se in casa non è rimasto più nessuno.

Turismo Sanitario.
Aver salvato il fegato di Maradona, ha proiettato la sanità cubana nell’olimpo dei grandi, hanno i migliori ospedali del Sud America, dopo il turismo, la principale fonte di reddito per lo stato è appunto il turismo sanitario, gente che va a Cuba per farsi curare.
C’è un centro pediatrico famosissimo e importantissimo, puoi andarci per delle cure o per studiare, accettano gratuitamente studenti da tutto il mondo, a patto che poi rimangano a Cuba per un determinato periodo di tempo per esercitare la professione che hanno imparato.
Sia per le cure, sia per lo studio, arrivano da tutte le parti del mondo, Venezuela, Argentina, Europa e … Stati Uniti.
Questo la dice lunga in fatto di eleganza.

Conclusioni, più o meno…
Mezza giornata a l’Havana è troppo, troppo poco.
La città è bellissima, le cose da vedere, guardare, annusare sono troppe, la gita è stata interessante ma decisamente breve, fatta di corsa, se non ti interessa soltanto arraffare sigari e Rum, torni in aeroporto con una sensazione di coito interrotto.
La decisione è presa.
La prossima volta, organizzeremo il viaggio in modo diverso, una settimana di tour in giro per Cuba e una settimana di mare nella natura di Cayo Largo.
Io e Ladyzilla ci stringiamo la mano, il patto è stato fatto, oh oh oh occhi di gatto.

Los Cinturones.
Risaliamo su un Tupolev per tornare a Cayo Largo.
Uno steward di mezza età ci dice di allacciare le cinture, io ravano nel mio sedile, ma della mia cintura me ne manca un pezzo.
Lo dico allo steward, ravana anche lui un po’ nel sedile, poi mi guarda, fa spallucce e l’aereo parte.
Farò senza.

Dan Brown.
“Il Codice Da Vinci”, tradotto in tutte le lingue del mondo, e i suoi derivati, tipo: “I Segreti del Codice Da Vinci”, “Gli Aggettivi del Codice Da Vinci in una rilettura cabalistica”, “Ci sono i nazisti dietro il Codice Da Vinci?”, “Inventa anche tu il Codice Da Vinci”, “Gioca e Colora con il Codice Da Vinci”, “Sudoku tratti dal Codice Da Vici” e “ Porno Codice Da Vinci, io lo so perché quest’uomo sta sorridendo”, sono i libri più letti in spiaggia.

Copriti!
Le poche che sfilavano in topless non potevano permetterselo.
Il tutto per la gioia di Ladyzilla, visto il mio personale ribrezzo verso le orecchie dei Cocker, il mio sguardo non ha sguazzato per la playa e non ho fatto classifiche.
Sì, sono un porco, lo so.

Giubbe Rosse.
Forse ha ragione Michael Moore in “Bowling for Columbine”, i canadesi sono dei fighi.
Qui a Cayo Largo ce ne sono un bel po’, sono tranquilli, educati, bevono come dei pazzi ma non danno fastidio a nessuno.
Qualcuno si è portato l’ombrellone da casa, risolvendo il problema delle ustioni, quasi tutti hanno dei termos, dei barilotti da tre litri con il manico, che si fanno riempire dai baristi, e se li portano a spasso, buoni buoni, facendo un viaggio solo al bar e non centomila.
Chiaramente, mi viene in mente una storia.
Per una serie di errori burocratici, una Giubba Rossa viene mandata a Cayo Largo.
A fare il bagnino.
Il Bagnino Giubba Rossa, è vestito di lana perché ha solo quello e la sua divisa non ha una variante estiva, chiuso nel suo costume tipico dei Mountain Men canadesi, scruta la spiaggia sudando come un pazzo, vegliando sulla salute dei bagnanti.
Se affoghi ti viene a prendere con l’Alce.
Ho individuato il protagonista delle avventure del Bagnino Giubba Rossa.
In albergo ci deve essere un campione di culturismo, non lo so con esattezza perché non sono colto in materia, fatto sta che c’è l’essere umano più grosso che ho mai visto in vita mia.
Circa cinquant’anni, almeno due metri, il suo bicipite era grosso come la mia coscia.
Quando si tuffava in piscina, per il contraccolpo, i bambini a mollo venivano lanciati nella reception.
Sua moglie, sembrava la protagonista di un film postatomico degli anni ’80, quelli con Mark Gregory e le neo amazzoni, addominali scolpiti, mascella un po’ squadrata e treccine.

(continua)


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Diario Cubano (4)

29 agosto 2005 • By

Prospettiva.
Il fatto che a l’Havana non ci siamo cartelloni pubblicitari inquieta un pochino gli itagliani a spasso.
I manifesti sono politici, visi del Che, frasi di propaganda, slogan contro gli Stati Uniti.
La nostra guida cubana, dice che gli americani sono dei terroristi e sul pullman cala il silenzio.
Io decido che mi sta simpatica.
Il cambio di prospettiva è radicale.
Dai discorsi, non solo della guida, si avverte tantissimo il loro amore per i leader della rivoluzione, l’affetto per Che Guevara , la nostalgia di Camilo Cienfuegos, il rispetto verso Fidel, sono i loro eroi, eroi assoluti, verso i quali nutrono devozione e ne coltivano la memoria.
Il cambio di prospettiva è radicale, ma forse no, cambiano i contenuti ma non la forma.
Loro coltivano in modo ossessivo il ricordo del sorriso del Che, noi quello dell’urlo di Tardelli ai mondiali dell’82.
Loro sono circondati da manifesti di propaganda politica, noi dalla faccia di Megan Gale che ci propone la tariffa più bassa, la loro propaganda, esplicita, direttamente politica, è comunicata in modo frontale, la nostra propaganda è altrettanto politica, nascosta tra le righe, mascherata da altro, ma propaganda rimane.
I nostri oggetti, le nostre rate a tasso zero, sono la nostra politica, non ideologica ma materialista, diretta non da uno stato, ma da una corporation, qualunque essa sia.
Abbiamo barattato gli ideali politici delle classi, con la politica ideale per il singolo, una politica cucita su misura per il doppiopetto blu di un nanetto sorridente.
La dottrina occidentale è così forte, che quasi tutti su questo pullman credono che se a Cuba si sta male sia colpa di Fidel.
In pochi ricordano l’esistenza di un embargo quarantennale, attuato dai padroni del mondo a stelle e strisce.
Loro hanno il culto della personalità, venerano Castro, i rivoluzionari, persone che comunque, si può essere d’accordo o meno sui risultati finali, hanno lottato per i loro ideali.
Anche noi abbiamo il culto della personalità, da Costantino alle Sorelle Lecciso.

Guarapo.
Lourdes, la guida, che mi è diventata più simpatica nel giro di cinque minuti, propone una bevanda tipica cubana, il Guarapo.
Si prende la canna da zucchero, la si strizza per bene con un macchinario apposito, si mette il liquido in un bicchiere con del ghiaccio, si aggiunge limone e Rum e lo si beve in allegria.
Ci sono dei banchetti per strada che te lo fanno, Lourdes ne decanta le lodi, pare sia energetico, stimolante, meglio del Viagra, un toccasana per i corpi cavernosi pigri, adatto se devi fare all’ammore o dei lavori pesanti a quaranta gradi.
E’ una cosa tipica, non esportabile in lattina perché deve essere fresco, fatto al momento.
Siamo in trenta, chi lo prende?
Ladyzilla, la guida e forse un altro paio di coraggiosi.
Io all’inizio declino l’invito, non per timori salutisti, ma perché del Rum alle undici del mattino non so se lo reggo.
Poi Ladyzilla insiste, dice che devo assolutamente assaggiarlo, è forte?, no… provalo!
Mi faccio coraggio e mi attacco alla cannuccia.
Buono.
Buonissimo.
Sarà una cosa psicologica, ma vi assicuro che ringalluzzisce di più di quella schifezza della Red Bull.
Improvvisamente non sento più caldo, sento solo Barry White.

Souvenir 1
Sono un turista, per cui, lo sapete già, sono per forza un idiota.
Non ho potuto non compare il berretto verde di Fidel, con tanto di stella.
Giusto per rimarcare la mia idiozia, un cubano mi sorride, mi fa il saluto militare e mi dice: Hola, comandante!

I Cammelli.
Autobus di Havana, la motrice di un camion, con attaccato dietro un cassone adattato al trasporto degli esseri umani, ogni zona della città ha il suo colore.
Si sta in piedi.

Sguardi.
I cubani in giro ci guardano strano, come se non riuscissero a decifrare bene Ladyzilla e il sottoscritto.
Io il cappello di Fidel l’ho messo nello zaino, per cui non è quello, deve essere qualcos’altro.
Dopo un po’ Ladyzilla ha l’illuminazione.
Siamo gli unici turisti a non essere firmati dalla testa ai piedi.

Parco Macchine.
Sulle strade viaggiano delle auto favolose, ormai anche loro parte del paesaggio urbano, tipiche, tenute benissimo, una serie di macchine che avevo visto solo nei film anni ’50 e nei romanzi di Chandler.

Avanti Savoia.
Il Terzo Reggimento della Cavalleria Savoia, un gruppone di torinesi di mezza età, controlla numericamente questa nostra gita a l’Havana.
Sono molti, tipo una quindicina, a guidarli c’è una virago bionda, un donnone uguale a una campionessa di lancio del giavellotto della Germania dell’Est.
Capelli raccolti, mascella in fuori, con perenne espressione schifata, camicia bianca e pantaloni lunghi neri, il marito è dietro di due passi, è una silente appendice, lei abbaia, lui riporta l’osso.
La sento chiedere alla guida: Ma allora, quand’è che muore Fidel?
La mia stima per Lourdes, vedendo che non estrae un machete come avrei fatto io, e che non le dice: Fidel non lo so, ma tu muori adesso, aumenta moltissimo.
Lo schifo che mi percorre la schiena non nasce da motivi politici, non è una questione ideologica, è una questione di semplicissima educazione.
Quell’educazione che ti insegnano alle elementari.

Fotografie.
Per l’itagliano in vacanza sembra essenziale fotografarsi in primo piano, di fianco a qualcosa di tipico, ma in campo stretto, con sorrisi finti e braccia a cavallo di spalle, oggetti e quant’altro.
Non viene ritratto il luogo, gli abitanti del posto, o ciò che si è visto, ma solo la propria presenza, che presumo verrà spiegata a parole durante la visione domenicale delle foto dell’estate.
Se per strada c’è una Santera, in abiti tipici e sigaro, chiaramente è lì per farsi fotografare in cambio di una piccola mancia, l’itagliano non fotografa la Santera e basta, ma zio Mario che sorride accanto alla Santera.
In questo modo, l’immagine diventa una non immagine, quella stessa Santera potrebbe essere a l’Havana, o a Gardaland, non fa differenza, perché non è lei ad essere fotografata, non è il luogo, il panorama, i palazzi, ma zio Mario.
Zio Mario potrebbe essere ovunque, anche in un teatro di posa.

Regalini.
Da casa mi ero portato un casino di penne e le regalo ai bambini che me le chiedono, avevo letto che le biro sono molto preziose, e me ne sono riempito una tasca.
Me le sono portate da casa, ci ho pensato prima, in modo consapevole, portando degli oggetti miei, perché è troppo comodo rubare le marmellate in albergo.
Ladyzilla distribuisce sciampi e bagnoschiuma.
La gente arriva, e con gentilezza ti chiede se puoi dargli qualcosa, non ti chiedono mai soldi, ma oggetti, magliette, penne, eccetera…
Arriva una vecchietta di venti kg, con un collare ortopedico e un Euro in mano, mi chiede se posso cambiarglielo con un Peso.
Io le do un Peso, ma non me la sento di prendergli l’Euro, le dico di usarlo per il prossimo turista, la signora insiste, insiste tantissimo, vuole darmi l’Euro, io resisto.
Lei cede, sorride, ringrazia e ve via.
Dopo un po’, finiamo tutti gli oggetti che ci siamo portati a l’Havana e Ladyzilla non sa che cosa dare a una signora piuttosto insistente.Ricompare la vecchietta di prima, dice qualcosa tipo: loro sono buoni…
Ci fa una carezzina, i presenti sorridono, accompagnandoci in coda al gruppo.

(continua)


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Cuba, Viaggi

Diario Cubano (3)

26 agosto 2005 • By

Playa Sirena
Meno Hard rispetto a Playa Paraiso, ci sono alcuni ombrelloni con sdraio annesse e un casino di palme, così si può stare all’ombra.
Dall’ingresso di Playa Sirena, alle palme vicino al mare, ci sono trecento metri di sabbia, una marcia forzata tipo quella della Legione Straniera, in pratica scendi dal trenino e vai veloce, per superare gli altri turisti e accaparrarti il posto più figo.
Nelle mie sinapsi viene proiettato il film: La Bandera, marcia o muori!
Ma dopo un po’, i polpacci urlano vendetta.
Siamo in vacanza e non abbiamo voglia di correre, per cui lasciamo che i legionari conquistino le loro posizioni, noi sistemiamo gli asciugamani sotto una palma qualsiasi, e siamo contenti lo stesso.

Fine di un epoca.
Prima o poi doveva succedere.
I miei vecchi occhiali da sole, gloriosi, piccoli e fuori moda, compagni di mille battaglie, inforcati sui palchi di quando facevo il cabaret, da vista perché sono una talpa, grigi al 90 percento, ora se li stanno godendo i pesci.
Se qualche sub vede una cernia occhialuta, sappia che quegli occhiali sono i miei.
Meno male che ne ho un altro paio.
Comunque, hanno fatto una fine intensa come la loro vita.
Adios!

Juan
La versione cubana di Renato Pozzetto è il cameriere più figo del ristorante sulla spiaggia del nostro albergo.
E’ il nostro posto preferito per pranzare, e Juan ci illustra il menù, esordendo con: che mangia ogi?, c’è poio, bisteca di manso, amburghesa, il maiale noè arrivato, filetto di pesce, pesce inteero….

Simona e Marco
Accanto a noi si siedono due ragazzi, all’inizio c’è un certo imbarazzo, più tardi, dopo aver fatto amicizia, scopriremo che anche loro erano stati coinvolti nel valzer assurdo delle lamentele itagliane e che anche loro avevano paura che noi fossimo parte dei lamentoni.
Già, perché in quei giorni dire che il posto ti piaceva equivaleva a passare per matto.
Ad esempio…
Marco ci racconta che il giorno prima, in spiaggia, un tipo di fianco a loro uccideva i tafani e li metteva in un sacchettino, per portarli alla tipa dell’agenzia di viaggio.
Questo era il livello.
Scopriamo con gioia qualcun altro a cui il posto piace un casino, il cibo pure, la spiaggia anche e tutti i favolosi annessi e connessi.
Tutti e quattro stavamo cominciando a pensare di essere noi quelli sbagliati, di essere troppo alla buona, dei poveracci, nessuno di noi aveva viaggiato tanto, per cui a tutti e quattro mancavano i termini di paragone.
Passeremo assieme il resto delle vacanze.

Coincidenze.
Simona e Marco hanno un anno esatto in più rispetto a Ladyzilla e a me, si sono sposati il giorno del mio compleanno, il compleanno di Marco è il giorno del matrimonio di Ottokin, sono andati a convivere un anno prima di noi, sono di Roma, sono in viaggio di nozze.
Hanno fatto una settimana di tour in giro per Cuba e ora passano alla seconda settimana al mare di Cayo Largo.

Havana
Venerdì 12 Agosto, io e Ladyzilla facciamo una gita.
Da Cayo Largo prendiamo un volo di linea cubano, della compagnia Aerogaviota, uno spettacolare bimotore Tupolev che ho visto solo nelle avventure del gruppo TNT.
Si entra da dietro, come negli aerei militari, dove è stata montata una scaletta in metallo, tipo quelle delle barche.
L’interno ricorda quello di una corriera degli anni ’50, sedili blu, scritte in spagnolo e inglese, ovunque si vedono i segni di una manutenzione artigianale, bulloni, rondelle e viti sono quasi tutte una diversa dall’altra, i pannelli sono stati tagliati a mano, fa un caldo pazzesco, la guida avvisa che se vediamo del fumo uscire dal soffitto non è un incendio, è l’aria condizionata.
Guardo in alto, il tettuccio dell’aeroplano è bagnato, coperto da brina di condensa.
Sorrido, stringendo la cintura, confidando nella capacità dei meccanici cubani.

Gita Guidata.
Saliamo su un Pullman, siamo una trentina, tutti italiani e tutti del nostro albergo.
La guida, è adattissima al pubblico medio, spara una serie di informazioni da sussidiario delle elementari, mi incazzo subito, ma Ladyzilla mi calma.
Guardo fuori dai finestrini, godendomi la vista di Cuba.

Quattro piani di Che.
Il ritratto del Che, sul muro del palazzo nella Piazza della Rivoluzione, fa davvero un certo effetto.

Lenny.
Di fronte al Campidoglio, veniamo fermati da Lenny Kravitz e dalla sua ragazza.
Lui è scuro, riccio riccio, con un paio di occhiali da sole a goccia, camicia a scacchi con le maniche tagliate, jeans e ciabatte, lei è meno appariscente e più incazzata con il mondo rispetto a lui.
Lenny sorride, proponendomi un traffico loschino.
Dovrei andare a comprare dei generi di prima necessità in un negozio per turisti, per poi darli a loro, così non devono usare la tessera.
Ho letto di questo “giro”, in pratica i cubani hanno una tessera con cui comprano le cose che lo stato gli passa, hanno delle razioni mensili di latte, zucchero, eccetera.
Ho letto anche che fare quello che mi propone Lenny è illegale, molto spesso queste merci vengono rivendute al mercato nero, in giro ci sono un sacco di poliziotti in borghese che controllano e potremmo avere dei casini sia noi che loro.
Gli dico che non me la sento, e che mi dispiace.
Lei si risente, lui no, sorride e mi dice:
Mi regali la bandana che mi piace?
La slaccio e gliela porgo.
Così, la mia bandana a l’Havana dura solo cinque minuti.

(continua)