Precisazioni.
L’ho detto che Ladyzilla e il sottoscritto eravamo all’Hotel Barcelò?
No?
Fanniente, lo dico adesso.
Dal 3 al 17 Agosto 2005, Hotel Barcelò.
Perché dico tutto questo?
Per facilitare Google.
🙂
Letture Estive.
Mi ero portato i miei soliti cinque libri, lettura minima del mio periodo vacanzifero.
Sarà stato il sole, il mare, la natura, il posto, ma non ne ho letto nemmeno uno.
Mediamente, si sguazzava in acqua per un ora ogni quaranta minuti, dita cotte, relax assoluto, esci, fumi di corsa una sigaretta e poi ti ributti nell’azzurro.
Altro che leggere.
Sampei.
Secondo me, la persona che si è divertita di più a Cayo Largo, è stato un ragazzo italiano che si era portato da casa una canna da pesca professionale, con tutti gli annessi e connessi, contenuta in un tubo nero di due metri e rotti.
A Sampei piaceva pescare, e lo faceva dalla mattina alla sera.
Si piazzava sugli scogli, o sulla terrazza che dal ristorante conduceva alla spiaggia, e stava lì a fumare il sigaro e pescare.
Pescava, e poi portava i pesci alla cucina del ristorante.
Tra le sue prede, numerosi pesci, ma so dirvi la razza di uno soltanto.
Un Barracuda di un metro e sessanta, di almeno dieci Kg.
Il vizio.
Dopo un po’ la stecca di sigarette comprata a Malpensa finisce.
Che si fa?
Passare direttamente al sigaro, mi sembra un po’ esagerato, ci sono poche marche di sigarette al negozio dell’albergo, Ladyzilla prende le Gauloises rosse e io mi butto sulle Hollywood al mentolo.
Dopo mezzo pacchetto, mi trasformo in un Koala dall’alito fresco.
Non posso non notare le occhiate di approvazione dei non fumatori che ci osservano in spiaggia, approvano, noi siamo fumatori cortesi e ci portiamo sempre via i mozziconi.
E’ semplice, basta tenere a rotazione un pacchetto vuoto, dove conservare il mozzico dopo averlo spento nella sabbia.
Ogni tanto, se devo essere sincero, mi esibisco in questa pratica facendomi notare, la mia speranza è quella di trasferire il nostro metodo anche agli altri fumatori spiaggiferi presenti.
Il non luogo.
Dopo un po’, riconosci i volti delle persone attorno a te, stai nello stesso albergo, anche se non li conosci, li identifichi e ti sembra di conoscerli.
Così, mi rendo conto che in molti hanno passato 15 giorni in piscina, facendo la spola tra la vasca e il vicino anfiteatro con il bar aperto 24 ore, facendo amicizia con gli animatori cubani, i ragazzi del bar, partecipando attivamente a tutte le iniziative, dal corso di Salsa all’acquagym, sguazzando in piscina e prendendo il sole sui lettini.
Quell’area del villaggio, la parte centrale, quella “animata”, con la piscina e le casse stereo, le partite di pallavolo, i ritmi scanditi dagli animatori, è il non luogo per eccellenza.
Piccole differenze a parte, credo che cambi un po’ l’architettura e il colore degli animatori, ma tra quell’area al Barcelò di Cayo Largo e lo stesso non luogo in un villaggio a Milano Marittima, non ci sono differenze.
E’ una sorta di estero controllato, familiare, amico, dove sentirsi sicuri, dove partecipare ad attività uguali in tutte le parti del mondo, è la globalizzazione dei luoghi, che allo stesso tempo unisce e divide, ponendo un muro percettivo altissimo tra l’interno e l’esterno.
Sono stato a Cuba.
Cosa hai visto?
La piscina.
Ogni non luogo ha la sua Regina, e immagino che sia così in tutti i non luoghi del mondo, una turista che si piazza lì, broccola un animatore e passa due settimane intense, fatte di scadenze precise, dal balletto di apertura al balletto di chiusura, dalle gare ai giochini, senza mai mettere il naso fuori dalla struttura.
Ho visto la Regina del Non Luogo, era lì con tutta la sua famiglia, non voglio essere più cattivo del dovuto, diciamo che erano un clan di Hobbit in vacanza.
Tutti morfologicamente identici, tutti con le stesse difficoltà di coordinazione nella Salsa, che comunque, con coraggio, insistevano nel praticare.
Chissà se la Regina è riuscita a fare all’ammore con l’animatore prescelto, chissà, io sinceramente, lo spero per lei, visto che ci ha investito tutto quel tempo…
Snorkeling Mitocondriale.
Premesso che il mio papà è un istruttore di istruttori di Sub, premesso che il Cajelli Senior ha un brevetto che ha praticamente soltanto lui, e che insegna fotografia subacquea, inutile dire che mi ha trasmesso attraverso il suo DNA, la predisposizione a perdere i capelli e una dimestichezza estrema con l’ambiente acquatico.
Mi ha fatto prendere dei brevetti, mi ha insegnato un sacco di cose, e mi ha detto: devi portare assolutamente le pinne la maschera e il boccaglio, sennò non sai che ti perdi nei mari cubani.
Bene.
Quest’anno ho imparato una cosa nuova, sono uguale a mio padre.
Mentre spiegavo a Ladyzilla come e cosa doveva fare, come doveva indossare l’attrezzatura, come doveva pinneggiare, mentre dirigevo la nostra marcia verso il faro galleggiante di Playa Sirena, lei, mi ha fatto notare come il mio atteggiamento fosse simile, se non uguale, a quello di mio padre.
Porca miseria, era vero.
Ho avuto un flashback.
Puglia, 1977, mio padre mi diceva le stesse cose, usando lo stesso tono che ho usato con Ladyzilla a Cuba nel 2005.
Vabbè.
Questioni di famigghia a parte, scorrazzare con la maschera a Playa Sirena non è stato un granchè.
A parte la corrente fortissima, che a una certa distanza dalla riva, inizia a tirare dalla spiaggia verso fuori, e che ha raddoppiato i tempi del rientro, la barriera corallina è molto lontana, ed è meglio andarla a vedere facendo la gita con il catamarano.
(Noi, avevamo scelto di andare a L’Havana, e tutte e due le gite, erano un po’ troppo per le nostre tasche)
Abbiamo visto una stella marina gigante, grossa più o meno come il volante di un’automobile, colorata di un bel rosso accesso, e un branco di pescioloni.
Se fossi stato davvero uguale uguale a mio padre, di quei pesci vi saprei dire il modello, la marca, la razza, il nome latino, le tipicità, le caratteristiche biologiche, le abitudini alimentari, il carattere, l’oroscopo e i nomi in pescese di ogni singolo individuo del branco.
Ma dato che non sono esattamente come lui, non ancora perlomeno, vi dirò che erano una decina, a forma di pesce, con delle strisce gialle sui lati, grossi come un mio avambraccio.
Uno di loro si chiamava Pablo, ma lo so perché me lo ha detto la stella marina.
Temporale Tropicale.
Piove dai cinque ai sette minuti, ma piove fortissimo, in tutte le direzioni, da sopra, da destra, da sinistra, da sotto, diagonale, a turbine, a frammentazione, a girello, una doccia completa.
Il cielo diventa tutto nero, i nuvoloni arrivano da Est, e scaricano tonnellate di acqua.
Ci ripariamo sotto il tetto dell’anfiteatro.
Ma il richiamo è troppo forte.
Nella mia testa sento dei tamburi che fanno bum bum bum, e il mio costume da bagno non sembra di acrilico, sembra fatto di foglie.
Bum Bum Bum Bum
Mi levo la maglietta, saluto Ladyzilla e i nostri amici e mi butto sotto l’acqua.
Le gocce fanno male, vengono giù fortissime.
Offro la faccia al temporale, chiudo gli occhi, e mi godo l’acqua gelida che mi avvolge.
Per un minuto sono un guerriero tribale che ringrazia per la pioggia, per un minuto sono un mio antenato con la lancia che va a caccia di bradipi, per un minuto torno indietro nel tempo e penso alla mia capanna.
Cacciatore o raccoglitore?
Sciamano.
E’ un bagno sciamanico.
(continua)