Colazione con Lou Reed.
28 ottobre 2013 • By Diego CajelliNel settembre del 2009 ero a New York con Ladyzilla. Indomiti, avevamo preso un volo l’undici di settembre. Il prezzo era quello della tratta Milano-Bari. L’aereo era praticamente vuoto. Alloggiavamo in un ostello, ora chiuso, condividendo il bagno con dei messicani che cucinavano il Mole Plobano nella loro stanza, diffondendo aromi e profumi precolombiani in tutto il palazzo.
Le nostre valigie erano più o meno vuote. Dentro c’era soltanto l’essenziale per vestirsi un paio di giorni. Il resto, lo avremmo comprato lì. Approfittando del cambio favorevole e perché no, di quel tipo di negozi che trovi soltanto lì.
Da Milano, mi ero portato una maglietta dei Velvet Undergound comprata alla Fiera di Senigallia. Non ufficiale, ma molto carina. Un colore per me inconsueto: viola, con su la cover bananosa di Warhol.
Quel mattino ci alziamo nella nostra stanzetta all’ostello. Un po’ storti per via del fuso e della notte brava. Aspettiamo il nostro turno per il bagno. Il programma di oggi è serrato.
Esplorazione cittadina, con foto varie, giri turistici organizzati in base alle location dei nostri film e delle nostre serie preferite. Cazzate? Sì. Ma sono le nostre cazzate e ne andiamo fieri.
Forse per via del colore, non mi sento a mio agio con i colori, non metto la maglietta dei Velvet. Opto per una t-shirt nera, scolorita.
Il papà di Betty Suarez finisce di farsi la barba, il bagno è nostro. Ci laviamo, ci vestiamo, usciamo.
Prima tappa: il 66 Perry Street e un giro nei dintorni.
Per non perdere tempo, acchiappo un caffè alla macchinetta dell’ostello. Un’esperienza quasi mistica, un caffè tanto orrendo che fa il giro e diventa buonissimo.
Arriviamo sul posto, guardiamo la casa di Carrie (e di mille altre serie e film, dove a questo punto tutti quelli che vivono nella fiction niùyorkana vivono nel palazzo di Carrie) e poi arriva il momento di trovare un posto dove fare una colazione vera. Fame. Tanta.
Gira che ti gira arriviamo sulla Hudson Street. C’è un locale, una catena, un bistrò francese in franchising.
Ladyzilla mi tira per la manica è mi dice:
- Guarda chi c’è seduto a quel tavolino!
Sposto lo sguardo.
Seduto a far colazione c’è Lou Reed.
Era seduto con un tipo e una tipa, parlavano tra loro di fronte alla colazione dei campioni.
Lui indossava dei jeans neri, praticamente dipinti sulle gambe, una maglietta color melanzana, il chiodo e un bel paio di ciabatte. Le stesse ciabatte che i nonni si comprano alla LIDL.
Ma fa niente. A Lou Reed gli stanno bene.
Il mio primo pensiero è: porcadiquellazozza! potevo mettere la maglietta dei Velvet Underground! Portarla fino a New York, guardarla con indecisione questa mattina, erano tutti dei segni del destino che ho ignorato!
Ladyzilla decide che quella catena di pane e cioccolato francese è il posto giusto dove fare colazione. Assolutamente.
Ci sediamo al tavolo accanto. Gomito a gomito con Lou Reed.
Ogni tanto sbircio. Non sono così impavido/faccia-da-chiulo per attaccare bottone o per fare una foto con lui. Rispetto la sua privacy.
Anche perchè, se fossi Lou Reed, se stessi facendo colazione in ciabatte con due amici, non gradirei molto che due italiani mi rompessero i coglioni. Non prima del terzo caffè perlomeno.
Però, cavoli. Perchè non ho addosso quella dannata maglietta! Poteva essere un buon modo per rompere il ghiaccio e fare quattro chiacchiere.
Parlano di affari. È una colazione di lavoro. Con Lou Reed in chiodo e ciabatte. Mi piacerebbe dirti che aveva anche gli occhiali da sole. Ma no. Aveva quelli da vista, e leggeva dei fogli tenendoli un po’ lontani dagli occhi.
Lo guardo, tanto lui non fa caso a me.
Il suo viso è una ragnatela di rughe e di storie. Ha il volto segnato, come una mappa che conduce a due occhi profondi, che chissà che cosa ha visto con quegli occhi lì.
Poi si alza. Le ginocchia sono due bozzi nei jeans attillati. Sciabatta verso la cassa.
Paga lui.
Mi aspetto che andandosene fischietti: Walk On The Wild Side.
No, forse lo farà più tardi, mentre cammina sulla Hudson Street, in questo mattino newyorkese che mi ha regalato una storia da raccontare.